2 maggio 2013 – «Il non profit? Va affrontato in maniera più scientifica». Lo sostiene Roberto Gatti, che dallo scorso marzo è il nuovo presidente di Argis, Associazione di Ricerca per la Governance dell’Impresa Sociale, dopo il passaggio di testimone del fondatore, il professor Gianfranco Negri-Clementi. Professionista con una lunghissima esperienza di volontariato alle spalle, culminata nella Fondazione Don Gnocchi, dove è stato membro del consiglio di amministrazione fino al 2012, Gatti si è specializzato in corporate governance all’Imd di Losanna ed è docente a contratto in “Private Equity e Corporate Governance” presso l’Università Cattolica. E’ anche un esperto di finanza visto che è dirigente nell’area Private Equity di una grande banca europea.

Che cosa farà Argis sotto la sua guida?

Proverà a sensibilizzare il no profit verso una governance più trasparente ed efficace. Mi sono ripromesso di schematizzare una best practice per tutti gli enti non profit, che poi sarà tailorizzata a seconda dei casi, affinché ci sia anche un’indicazione comune su come deve essere organizzata una buona governance. Una buona struttura organizzativa serve a essere più credibili nel fund raising e in altre iniziative. Per questo anche nel non profit serve una governance che dia un feedback continuativo e trasparente a chi fa le donazioni, a chi lavora negli enti e ai beneficiari delle attività. Da qui l’importanza, per esempio, di certificare il bilancio, per consentire ai donatori di verificare la destinazione dei contributi. Chi si vuole organizzare in associazione o entità legale deve dare una concretezza strutturale alla sua volontà.

Che cosa pensate del livello di governance italiano?

Il pensiero all’interno di Argis è che il livello di governance italiano vada approfondito e migliorato, a livello corporate e ad altri livelli contestuali. Va migliorato perché purtroppo non è ancora condiviso il criterio della trasparenza a 360 gradi: trasparenza nelle nomine, nei bilanci, nei curricula di chi è nominato, nelle strutture organizzative (chi fa cosa, chi decide cosa). Il livello attuale non è necessariamente un male, vuol dire che siamo a un punto in cui per tornare competitivi occorre lavorare anche sulla governance.

La governance può essere un volano di crescita?

Certo. Una governance più avanzata è, inoltre, sinonimo di rendimento economico e non ha solo valenza sociale o ambientale. Nei Paesi come Germania e Regno Unito dove la governance è trasparente, dove c’è chiarezza e condivisione di strategie, decisioni e risultati, anche i dati economici ne beneficiano. Più c’è trasparenza più il rendimento va di pari passo, escludendo ovviamente le situazioni di grave crisi. Anche ammettere le difficoltà (trasparenza) può essere utile perché la gente che ti ha conosciuto e che ti ha ascoltato può decidere a maggior ragione di aiutarti.

Ci sono differenze di governance tra non profit e profit?

C’è una differenza nello spirito con cui vengono affrontate le tematiche, una differenza di modalità di approccio, di pensiero e di competenza. La governance nel non profit va a maggior ragione affiancata da forti valori etici e morali: dove si fa riferimento al soddisfacimento dei bisogni dei più deboli occorre essere più convinti della mission dell’ente non profit.

E in termini organizzativi?

In termini organizzativi, le strutture non profit sono molto simili a quelle del profit. Personalmente non vedo grandi differenze tra fondazioni, enti e spa. Il non profit si deve adeguare al profit in termini di trasparenza, di strutture organizzative, di documentazioni da produrre alla collettività, di chiarezza sulla mission e sulla destinazione dei soldi richiesti a coloro che finanziano. Le fondazioni attualmente non hanno obbligo di pubblicare bilanci, ma secondo Argis dovrebbero farlo.

Quali i punti più critici nel no profit?

La carenza di cultura e di trasparenza. Non per una cattiva volontà, ma perché le normative in vigore non impongono la trasparenza nei numeri, nei dati, nelle scelte e nella condivisione dei risultati.

L’attività di rendicontazione sarebbe un costo…

Per questo bisogna lavorare sulla creazione di strutture con costi più a misura di non profit e individuare strutture che possano dare garanzie di certificazione, ma che non gravino troppo sulle spese degli enti no profit. Il costo della trasparenza però non è mai mal speso, aumenta la credibilità e la fiducia nell’ente.

Dove si colloca il professionista oggi rispetto a ieri?

Nel contesto attuale sociale il professionista deve fare i conti con una realtà più esigente in termini di informazione e quindi deve sentire propria una sensibilità verso le tematiche quali i conflitti di interessi e i conflitti professionali. Nella politica, nelle imprese, nel sociale c’è maggiore sensibilità verso il rispetto dei temi di governance perché spesso determinano il successo o meno delle iniziative e perché aiutano la credibilità e la legittimazione delle medesime.

Bastano i codici deontologici?

No. Quante realtà li hanno fatti firmare e poi si sono trovate invischiate nella migliore delle ipotesi in casi di non rispetto della deontologia? Occorrono etica, rispetto dei valori, organizzazione ed è necessario che le persone siano propense e motivate a intraprendere un cammino di responsabilità all’interno di una struttura non profit.

Fausta Chiesa

 

A cura di ETicaNews