9 ottobre 2013 – C’è un filo rosso che ha legato i due appuntamenti più importanti dell’ultimo mese sull’impresa e sull’innovazione sociale, vale a dire il Workshop di Iris Network tenutosi a Riva del Garda e il Salone della Csr e dell’Innovazione sociale (già “Dal dire al fare”) di scena all’Università Bocconi di Milano. Due eventi che, seppur culturalmente trovino sbocchi molto vicini, partono da posizioni e storie molto lontane. Il primo, il Workshop, prende avvio dal mondo del non profit, del terzo settore, un mondo caratterizzato da un’economia filantropica, cooperativa e welfarista che, un po’ per scelta, un po’ per necessità, nel tempo ha mosso lo sguardo verso il tema della sostenibilità economica. Il secondo evento, il Salone della Csr, parte invece dal mondo business, un mondo che, un po’ per responsabilità un po’ per opportunità, ha da alcuni anni volto lo sguardo verso il tema della sostenibilità, in questo caso non economica, ma sociale e ambientale. Due presupposti molto diversi, due universi che fino a non molto tempo fa si sarebbero definiti antitetici, che attraverso parole d’ordine comuni sono finiti per sfociare nella stessa area, quella che oggi identifichiamo come l’area del social business. I dibattiti nel corso degli anni sono stati tanti e molto accesi, su entrambi i versanti. Ma il filo rosso, legame ideale tra Riva e Milano, è la consapevolezza della fine di un’epoca e il bisogno di un cambiamento che vada in scia alla contemporaneità.
Flaviano Zandonai, segretario di Iris Network incontrato al Workshop, ha raccontato, a questo proposito, della grande novità del Workshop: i giovani. Parlando del pubblico dell’evento di Riva ha spiegato che fino a qualche anno fa si trattava di «un pubblico di cooperatori sociali, quaranta-cinquantenni, che venivano soprattutto dalle grandi organizzazioni di rappresentanza e di coordinamento, mentre oggi c’è una platea di persone che conosco poco, molti giovani, molti fuori dalle grandi strutture di rappresentanza e di coordinamento. Questo da un lato è interessante, ma questo anche manda in crisi alcuni interlocutori più tradizionali del Workshop. C’è per esempio un grande rappresentante della cooperazione che mi diceva: oggi non c’è “sangue blu”. Gli ho detto: cos’è il “sangue blu”? “Sangue blu” secondo lui sono i grandi rappresentanti delle federazioni, dei consorzi, della cooperazione sociale». Anche per questo Zandonai – riferendosi alla traiettoria del Workshop – ha parlato di «un percorso concluso», un percorso che all’interno di un mondo prevalentemente “sociale” ha inserito stabilmente le parole “impresa” e “innovazione”.
Al Salone della Csr, che come detto si è tenuto alla Bocconi (non a caso), oltre a tanti giovani e studenti, l’incontro invece è avenuto con Davide Dal Maso, partner di Avanzi e presidente di Make a Cube, primo incubatore in Italia specializzato in imprese ad alto valore sociale e ambientale, il quale per la prima volta ha partecipato al consueto appuntamento milanese dalla parte degli organizzatori. Un riconoscimento al lavoro di Avanzi, che nel tempo ha sviluppato una profonda expertise nel campo del social business che ne ha fatto un punto di riferimento anche culturale. Secondo Dal Maso, per quanto riguarda la Csr, e così come dichiarato da Zandonai per l’impresa sociale, «siamo alla conclusione di un ciclo, ormai i progressi sono marginali. Tutto quello che si doveva dire è stato detto». E non si tratta solo di una questione di conoscenza. «Reporting, misurazione degli impatti, stakeholder engagement sono pratiche affermate, consolidate, istituzionalizzate». Anche da quest’altro versante, dunque, le parole “responsabilità” e “sociale” sono state inserite durevolmente in un mondo prevalente “business”. Quindi dove andare? Uno spunto ce lo fornisce ancora Dal Maso, quando ci dice: «È sempre meno plausibile immaginare un’impresa che cresce in una società che cala. Ci sono bisogni sociali crescenti, ma le risposte sono carenti, quindi c’è spazio per grandi sperimentazioni».
In altre parole: quello che ancora manca è il superamento delle barriere tra i vari comparti e la presa di coscienza a tutti i livelli che il sangue blu non esiste più e, anzi, è anacronistico e la sua ricerca e rivendicazione rischia di ritardare ancora di più il processo di avanzamento della nostra società. Ogni volta che un sistema cambia, bisogna cambiare anche il modo di osservarlo. Ricordando della lezione, tra le altre, dell’economista Brian Arthur, il quale dice: «Nella visione comune la dottrina economica è meccanicistica. È complicata, ma può essere vista come una serie di fattori e collegamenti reciproci. Il soggetto e l’oggetto – gli agenti da una parte e l’economia in cui essi operano dall’altra – possono essere nettamente separati». È quello che alcuni cercano ancora di difendere e propagandare. Tuttavia, nota Arthur, in un sistema complesso «soggetto e oggetto non possono essere disgiunti chiaramente. E così l’economia mostra un comportamento che non possiamo più descrivere come meccanicistico. Non è una gigantesca macchina ben ordinata. È un sistema organico». Il nostro sistema organico, i cui agenti rappresentano la società occidentale (di cui quella italiana, per demografia e conservatorismo, si può identificare nella sua generalità all’interno dei cosiddetti laggards) si trova in una fase di forte discontinuità caratterizzata dalla ricerca di nuovi equilibri ancora precari: la postmodernità (connotata da valori edonistici ed egoriferiti) è in accentuato declino, mentre la cultura cosiddetta “neo illuminista” (bisogni emergenti di coerenza, progettualità, responsabilità) si va affermando pur incontrando inevitabili resistenze al cambiamento. Tra i fattori incidenti: nuove tecnologie, reti sociali, riorganizzazione dal basso, nuove forme di partecipazione, necessità di riempimento dei vuoti istituzionali, recupero degli spazi e riappropriazione dei ritmi e dei cicli naturali, valori sociali della condivisione e altruismo (anche se utilitarista), multiappartenenze, costruzioni di vision coinvolgenti e condivise, oltre a decine di altri già osservati e compresi, osservati e non compresi, e anche non ancora osservati. Si tratta di una semplificazione, è evidente. Così come è chiaro che l’emergere del dibattito su responsabilità sociale e impresa sociale negli ultimi anni sia stato favorito dalla transizione da un’epoca verso un’altra, seguendo il superamento dell’una e la progressiva (e ancora non completa) maturazione dell’altra. E così il passo in avanti, che sarà inevitabilmente un mashup di vecchie categorizzazioni e di cui si sente il bisogno – per la conclusione dei cicli prima descritti -, non potrà avvenire senza una visione olistica che consideri – e accompagni – tutte queste istanze.
Felice Meoli
A cura di ETicaNews