20 novembre 2012 – Di  che cosa si parla quando si dice “rating di legalità” è chiaro ai lettori di EticaNews e rimando ai due ottimi articoli (“L’Antitrust vara il rating etico di Stato” e ”Rating legalità: la soffiata è etica“)  che hanno seguito l’evolvere del provvedimento legislativo e del regolamento. Si tratta, in sintesi, di un rating emesso alle imprese dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – tramite autocertificazioni – che misura “l’onestà” dell’impresa richiedente. Cosa certamente utile se si ha a che fare con banche e pubbliche amministrazioni.

Ma ogni volta che si parla di autocertificazioni c’è da temere per l’imprenditore qualunque, quello di Voghera (il marito della casalinga). C’è da temere per lui perché non è tipo da affiancarsi in grisaglia al feudatario di turno, durante il solito convegno bla-bla, e chiedere “l’aiutino” per espletare la pratica. Non è nelle sue corde e non ha abbastanza potere per farlo. Quindi, lo immaginiamo già a chiamare il numero di telefono del sito – attendere i soliti trenta squilli – e poi parlare con il funzionario sbagliato, dell’ufficio sbagliato, del dipartimento sbagliato, della sede sbagliata, capendo, da solo, di avere compilato pure la scartoffia sbagliata. Così da maledire il commercialista, l’avvocato e la moglie che l’hanno convinto a chiedere il rating.

C’è da temere per lui anche perché già si scorgono all’orizzonte imprenditori (assai più sfacciati ed astuti di lui) auto-certificare, senza batter ciglio, la loro andata sulla Luna e la loro scoperta del moto perpetuo… così facendo per ottenere le tre stelle… chissà per quanto. Perché il nocciolo del contendere sono le stellette. Come quelle di Petreaus.

Il regolamento emesso dall’Antitrust prevede un rating che vada da una a tre stelle. Per avere la prima, alla base del rating (insomma, il voto minimo), si devono autocertificare cose incontrovertibili: tipo non avere mai ricevuto condanne o grane sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. E sin qui siamo tutti d’accordo e possiamo dire che la prima stella non si nega a nessun onesto imprenditore.

Poi, però, per salire di grado occorre autocertificare alcune qualità più aleatorie: come quella di avere sistemi di controllo adeguati (ai sensi dei modelli 231) oppure di avere politiche o processi di Csr. In questi casi ci si chiede se l’Autorità sia chiamata a dare giudizi di merito ed ispirati a quali parametri. Se, infatti, la prima stelletta è il frutto di elementi dalla facile comprensione, è pur vero che all’aumentare dei galloni cresce la discrezionalità.

Ora, pur mantenendo, per formazione personale e professionale, grande rispetto per la mano “visibile” dello Stato, che in confronto a quella “invisibile” del mercato dovrebbe essere mossa soltanto dalla legge e non dal profitto, è chiaro che l’Autorità dovrà navigare sicura a vele spiegate nel mare magno delle sfumature.

Standard Ethics tentò di porre il problema. A noi, i termini ci erano chiari. Raccogliere in un unico faldone le “notizie legali” relative a un’impresa e farne un pubblico giudizio era sicuramente cosa assai utile per la comunità economica (che avrebbe potuto avvalersi di un faro nella nebbia), ma muovere i passi tipici di un’agenzia di rating alimentava preoccupazioni sulla sostenibilità del provvedimento data la natura dell’emittente, che certo non è un istituto indipendente di analisi della governance aziendale. E qui, sarà compito dell’Agenzia fornire le prime rassicurazioni.

Ricordo ciò che diceva Bacone a proposito della legge: sono come le ragnatele, fermano le mosche, i mosconi le sfondano. Chissà se non vedremo, al solito, brillare le tre stellette sul bavero di quelle grandi e potenti imprese che casomai hanno catene di controllo lunghe chilometri per distogliere utili dalle tasche degli azionisti di minoranza o che nascondono casi di corruzione da fare impallidire Eliot Ness (il capo degli ”intoccabili”, che riuscì a trovare le prove per far condannare Al Capone per evasione fiscale, ndr), o che ficcano sotto il tappeto vent’anni d’inquinamento selvaggio. E posso immaginare la rabbia se mai si dovesse vedere brillare le stellette sul bavero di quei bucanieri (ancora incensurati) che auto-dichiarano, andando all’avventura, d’essere l’impresa più perfetta del mondo.

Quindi, a mio avviso, non rimarrà altra strada che farsi affiancare dai soliti esperti nelle materie di cui alle dichiarazioni più complesse. Esperti in grado di asseverare le dichiarazioni più spinose, casomai, stimolando l’impresa nella giusta direzione. È sperabile però, che almeno questi pareri siano richiesti a entità terze e indipendenti e non agli stessi consulenti abituali all’impresa, quindi in conflitto d’interesse e casomai proni alle solite benevolenze a rischio di tragica smentita alla prima visita delle Fiamme Gialle. Altro aspetto su cui l’Autorità dovrà vigilare.

Jacopo Schettini Gherardini

 

A cura di ETicaNews