18 marzo 2013 – Giovedì scorso è stata commissariata la Banca di credito cooperativo del Veneziano. Già nel mirino di Banca d’Italia da un paio d’anni, le problematiche nella gestione delle risorse sono risultate troppo gravi e profonde: azzerati i vertici. E, così facendo, anche quelli del sistema delle Bcc del Veneto, poiché il presidente dell’istituto veneziano era anche a capo della federazione regionale. Un mese prima, la “cugina” di Padova ha vissuto un episodio più drammatico, con un attentato al direttore generale. Negli ultimi anni, anche la Bcc Padovana era finita nei guai con buchi clamorosi effetto di operazioni sbagliate (e oggetto anch’esse di un duro intervento di Banca d’Italia).

Il sistema delle Bcc è stato e rimane, in base ancora agli ultimi dati disponibili, un asset insostituibile del Paese. In Veneto, lo è probabilmente in misura anche maggiore. Che cosa c’è, dunque, dietro a questa profonda crisi?

Ciò che ha investito negli ultimi anni le Bcc è rappresentativo del problema su cui questo Paese sembra contorcersi e soffocare. I commissariamenti, i salvataggi, le misure straordinarie a favore di categorie e aree di genere, i sostegni, gli aiuti, le erogazioni, gli investimenti preferenziali e così via, non sono che palliativi. Sono rimedi per curare – in ambito bancario, aziendale, associativo, e più in generale a livello sociale – i sintomi del problema, non la malattia.

Sul tema, si cominciano a delineare nuove scuole di pensiero. Fino a oggi ha prevalso la tradizionale visione per cui la risoluzione a problemi economici si risolveva pompando maggiori risorse, sia attraverso canali pubblici, sia attraverso canali parapubblici (è il caso delle fondazioni). Oggi, c’è chi ragiona sul fatto che, prima di andare a cercare e a investire nuove risorse, sia necessario aggiustare la macchina. Se la macchina non funziona, o funziona con le perdite che questa crisi sta evidenziando, va resettata.

Cosa significa resettare la macchina prima di riempirla di benzina? Sono interessanti due interventi delle ultime settimane. Il primo è di Stefano Zamagni. Il professore bolognese, tra i maggiori esperti di economia del Terzo settore in Italia, il 3 marzo ha lanciato un appello dalle colonne del Corsera sulla necessità di trasformare il terzo settore, da operatore sociale a imprenditore sociale. Uomo istituzionale Zamagni, giornale istituzionale il Corriere. Ma il messaggio, tra le righe, conteneva qualcosa di molto forte: «La società civile ha una funzione anche economica, non solo politica. Quello che ai politici bisogna dire è di non ostacolare l’evoluzione del Terzo settore». Per il meccanismo dell’economia sociale, suona come una richiesta di depurazione dalle “infiltrazioni” che per decenni lo hanno controllato, gestito e manovrato.

In sintesi, una richiesta di vera governance.

Meno politico, ma più esplicito in termini tecnici, il commento del 4 marzo di Elio Silva su un’analisi condotta per Il Sole 24 Ore del Lunedì dalla società di ricerche Un-Guru: nelle organizzazioni del terzo settore «cresce l’attenzione – si legge – verso gli aspetti di trasparenza, non solo grazie alla spinta esterna dei donatori, che vogliono sapere come vengono impiegate le loro erogazioni, ma anche in risposta a un’esigenza interna di analisi, controllo e capacità di previsione».

In sintesi, anche qui, una richiesta di vera governance.

Quanta governance c’è da cambiare in Italia? Anzi, quanta governance c’è da immaginare, studiare, applicare, in Italia? Un elenco è impossibile. Incontenibile. Dalle procedure per l’assegnazione di posti alla scuola materna, sino alla gestione dei posti nei cimiteri. C’è un Paese che necessita di nuove regole di governo. Regole che, in un mondo 2.0, diventano regole di wikigoverno.

Per l’Italia, questa è la vera rivoluzione culturale.

A non grande distanza dalle due Bcc citate in apertura, un’altra banca sta cercando di proporre una riforma della finanza in senso sostenibile, facendosi carico di un ruolo sociale pro-attivo, al punto da stimolare il parlamento e i suoi inquilini. In un intervento di questi giorni, Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, si è rivolto direttamente ai parlamentari per esortarli a mandare un segnale sulle proposte presentate dall’istituto padovano.

Le proposte riguardano le regole necessarie al funzionamento di uno specifico tassello del Paese. Forse un tassello piccolo. Qualcuno può ritenerlo magari anche auto-riferito. Per altri, addirittura, un tassello non importante o dannoso. Tuttavia, paradossalmente, qui non è tanto l’oggetto delle proposte che conta. Quanto l’idea della proposta. Soprattutto, perché avanzata da un’entità che ha adottato un regime di trasparenza nella gestione delle risorse, di condivisione delle scelte con la propria rete, di impegno dichiarato nelle iniziative sociali.

Si può non concordare con le proposte, ma resta l’esempio di un ribaltamento di governance: un istituto di credito a “condivisione territoriale” sta chiamando le istituzioni a farsi carico delle proprie responsabilità di governo.

 

A cura di ETicaNews