12 febbraio 2013 – Cosa succederebbe in un mercato dove le imprese premiassero persone poco riflessive e miopi invece di valorizzare i migliori talenti? Probabilmente un disastro. Eppure la realtà non è così diversa. Un recente studio intitolato “A stupidity- based theory of organizations” condotto dalla Cass Business School di Londra mostra, infatti, come nella City londinese la cifra distintiva non sembri essere la lungimiranza ma, al contrario, la “stupidità funzionale”. Gli scandali finanziari accaduti nel mondo della finanza negli ultimi anni, non da ultimo il caso Libor, ne sono un esempio.

Il concetto di “stupidità funzionale” si riferisce a un particolare tipo di cultura aziendale in cui non è opportuno porre domande scomode in quanto la filosofia dominante sembra suggerire: “non pensarci, fallo e basta“. «Molte aziende considerate le più astute – spiega il professor André Spicer, curatore della ricerca – come le banche e le società finanziarie, si definiscono fondate sulla competenza e la conoscenza. Tuttavia, da una più attenta osservazione emerge che è piuttosto vero il contrario. Infatti, molte di queste aziende sono in realtà dominate dalla stupidità. Non è che in queste aziende vi siano persone con un basso quoziente intellettivo, anzi. Le persone che lavorano in queste organizzazioni sono molto intelligenti, ma non utilizzano pienamente le loro capacità intellettive. I dipendenti vengono invitati a non pensare troppo alle cose ma semplicemente a portare avanti il lavoro.»

Questo tipo di ambiente aziendale funziona ottimamente durante periodi di prosperità economica, aiutando, oltretutto, a generare un maggiore senso di coesione. «Quando i membri di un’azienda non pongono troppe domande, le persone tendono ad andare maggiormente d’accordo e il lavoro ad essere svolto in modo più efficiente. Anche i dipendenti beneficiano di una scalata facilitata verso la cima dell’albero della cuccagna» afferma ancora Spicer. La situazione però diventa critica in momenti di crisi, quando una maggiore riflessività e senso critico è richiesta per poter superare le problematiche. Proprio in queste circostanze si percepiscono i limiti di una cultura aziendale che non solo non valorizza il pensiero indipendente, ma che chiede cieca e assoluta obbedienza.

La cultura organizzativa è infatti un asset fondamentale per lo sviluppo ottimale di un business. Purtroppo troppo spesso in quest’ultima sono valorizzati principalmente obiettivi di breve durata, rendendo così l’ambiente di lavoro un luogo sempre più colmo di ansie e stress, che non aiuta il dipendente a pensare criticamente e in modo oggettivo. È perciò lecito domandarsi se il primo passo verso una responsabilità sociale non giunga dalla eticità, in primis, dell’organizzazione aziendale, in cui anche la diversità di pensiero deve essere valorizzata.

Infine, anche la figura del leader dovrebbe essere ripensata; top manager che vengono seguiti ciecamente dai propri sottoposti, e mai messi in discussione, non sono positivi per il benessere dell’organizzazione. Il mercato non ha bisogno di guru che impartiscano ordini e sentenze ma di persone che comunichino le une con le altre, per arrivare ad una soluzione dialogando.

“Noi speriamo – concludono gli autori della ricerca – che il concetto di stupidità funzionale faciliti una riflessione più critica riguardo al concetto di organizzazione intelligente. In particolare speriamo che aiuti a chiedersi perché organizzazioni intelligenti possono essere a volte così stupide“.

Elisabetta Baronio

 

A cura di ETicaNews