13 gennaio 2014 – Il mondo sta cambiando. E il motore comincia a essere la finanza Sri (socially responsible investing). Capace di muovere e, soprattutto, di imporsi anche nei piani più alti della governance (ossia, della politica) mondiale.

Dietro le quinte, soprattutto nei Paesi del Nord Europa, da tempo i grandi fondi pensione sostenibili giocano un ruolo attivo importante nell’impiego dei capitali. Ma quanto accaduto nelle scorse settimane evidenzia un salto di qualità di spessore globale. Si può parlare di attivisti-Sri al potere.

Appena prima di Natale, sei fondi pensione danesi (Atp, Industriens Pension, PensionDanmark, Pfa, Pka e Sampension) hanno sbattuto la porta nell’organizzazione supportata dalle Nazioni Unite dedicata agli investimenti responsabili (Pri, Principles for responsible investment). Gestori responsabili di un patrimonio quantificabile in 300 miliardi di dollari hanno picchiato i pugni sul tavolo e se ne sono andati, denunciando, con un comunicato congiunto, inaccettabili carenze di governance all’interno dell’organizzazione. Uno smacco pesante per un ente targato Nazioni Unite preposto alla sostenibilità. Tanto da dover agire in via immediata per spostare il tiro: oggi a Copenhagen ci sarà un confronto diretto tra Pri e i fondi, col quale sono invitati a interagire tutti gli investitori dell’organizzazione o gli investitori interessati alla questione.

Non è passato troppo tempo, la scorsa settimana, che la decisione di un altro investitore etico ha scosso establishment, istituzioni ed equilibri politici. In questo caso, si tratta di uno dei principali fondi pensione olandese Pggm, che gestisce masse previdenziali per 150 miliardi di dollari, tra cui quelle della Sanità del Paese, che ha deciso di disinvestire da cinque banche israeliane (Bank Hapoalim, Bank Leumi, First International Bank of Israel, Israel Discount Bank and Mizrahi Tefahot Bank). La notizia è stata anticipata dai media di Tel Aviv. Poi, il fondo ha comunicato ufficialmente la decisione spiegando che «per diversi anni ha cercato di negoziare con gli istituti di credito in merito al loro coinvolgimento nei finanziamenti agli insediamente israeliani nei territori occupati della Palestina. Questo – continua la nota di Pggm – è un fattore di pericolo, in quanto gli insediamenti sono considerati illegali dalle legge umanitarie internazionali. In più, secondo osservatori internazionali, costituiscono un ostacolo alla pace tra Israele e Palestina». Insomma, una posizione dura che, oltre ad accendere all’istate accecanti riflettori, ha messo in moto la diplomazia ufficiale, con la convocazione dei rappresentanti dell’Aia da parte del governo di Tel Aviv.

Questa forza d’azione e, soprattutto, questa capacità di scatenare una reazione, evidenzia l’importanza oggi raggiunta dall’azionariato attivo. Certo, si parla di attivisti di enormi dimensioni. Ma concentrarsi solo sull’aspetto dimensionale rischia di essere fuorviante.

È significativo, a questo proposito, un altro passaggio di questi giorni. Sul Guardian, in un’analisi sulla “Battaglia per la finanza sostenibile”, uno dei fronti evidenziati è “Lo sviluppo dell’engagement del cittadino investitore”. «Abbiamo bisogno – si legge nell’analisi – di renderlo coinvolto, creativo, partecipante nell’investimento. Fortunatamente, le nuove tecnologie stanno aiutandoci a sviluppare il senso di ciò che può essere. C’è un aumento di popolarità delle nuove forme di peer-investment (investimenti senza intermediazione, ndr) e crowdfunding che può aiutare la gente a investire direttamente in aree sostenibili come le energie rinnovabili. Stiamo assistendo alla genesi di una miriade di piattaforme creative che stanno aiutandoci a sviluppare una accettazione culturale per una più aperta forma di finanza».

Insomma, il fenomeno dell’attivismo si diffonde. Anzi, si ritiene che la sua diffusione sia uno dei presupposti per un nuovo modello di finanza ed economia. E a crederci non sono unicamente giornalisti più bizzarri di altri. Date un’occhiata al testo introduttivo del prossimo forum di Davos (22-25 gennaio). «Profonde forze politiche, economiche, sociali e, soprattutto, tecnologiche stanno trasformando le nostre vite, comunità e istituzioni. Annullando rapidamente i limiti geografici, di genere e generazionali, queste forze stanno spostando il potere dalle tradizionali gerarchie a network di eterarchie (organizzazione di soggetti paritari ma attivi e coinvolti, in cui la “promozione” o la “discesa” qualitativa è decisa dal basso, ndr). Ancora la comunità internazionale rimane focalizzata sulle crisi, piuttosto che essere orientata strategicamente verso i trend, i driver e le opportunità che spingono le trasformazioni globali, regionali e industriali».

Il World economic forum di Davos è ritenuto uno dei luoghi per eccellenza dove si incontrano i grandi della terra.

In Italia, il dibattito sul coinvolgimento dell’investitore e il suo attivismo è fuori da ogni stanza decisionale. E quando ci entra, come per lo stewardship code di Assogestioni (su cui dovrebbe regolarsi l’azionariato attivo all’italiana), faceva meglio a restarne fuori.

A cura di ETicaNews