13 maggio 2013 – Gli italiani e i loro giornali stanno all’Europa e alla sua governance, come stanno alla nazionale di calcio. Tutti allenatori. Passionali, convinti, battaglieri, fieri, accusatori, giudici e, spesso, autolesionisti, senza, in fondo, curarsi di appurare troppo ciò che sta all’origine, ciò che sta dietro. Ossia, senza grande chiarezza sulle complesse regole che stanno alla base del gioco.

È una riflessione critica – se si vuole, anche questa è una considerazione degna degli allenatori da bar, e forse perciò possiede una propria efficacia – di quanto emerso nel convegno Giornalismo e media italiani nella governance dell’Unione europea, organizzato venerdì scorso a Firenze da Standard Ethics assieme alla Federazione nazionale della stampa (Fnsi), dell’ambito del Festival d’Europa, appuntamento che tra il 7 e l’11 maggio ha richiamato nel capoluogo toscano la prima fila delle istituzioni nazionali ed europee.

Nel corso del convegno, cui ha partecipato anche ETicaNews, è parso piuttosto chiaro in quale declinazione si intenda il concetto di governance Ue da parte dei giornali nazionali (vedi una selezione della twittercronaca). L’attenzione è costantemente rivolta alle questioni, per così dire, “alte” delle vicende europee, ossia sugli equilibri economici e politici – oggi quanto mai sbilanciati su un’austerità in chiave tedesca – riservando poco spazio alle questioni tecniche. Ovvero, alle informazioni di servizio.

Si è così dunque argomentato sull’informazione «come bene pubblico, di cui occorre valutare le esternalità in termini di democrazia», ha argomentato Pier Luigi Parcu, direttore dell’Istituto universitario europeo, tenendo d’occhio i casi critici, come quello dell’Ungheria, dove sono state adottate misure lesive della libertà di stampa. Si è sottolineato, come ha fatto Giuseppina Paterniti, della Rai, che «è falso ritenere quella attuale una crisi del debito, e queste cose vanno raccontate». Sono state evidenziate le carenze dell’informazione nazionale in termini di conoscenze tecniche e di spazi, come ha spiegato Giampiero Gramaglia, direttore di Euractiv. Dino Pesole, del Sole-24Ore, si è chiesto: «Il deficit di informazione è solo colpa dei giornali o c’è di più?». E ha argomentato come «questa crisi economica è stata anche l’effetto di una carenza di governance istituzionale e di leadership politica».

In fondo, tutti d’accordo: non c’è cultura dell’Europa in Italia. E questa mancata identità europea si lega in modo evidente alla mancanza di informazione sull’Europa stessa. L’obiettivo, perciò, è ridurre questo gap informativo, in modo da aiutare la diffusione di un più concreto senso di adesione.

La domanda è: come?

Daniela Stigliano, vicesegretario della Fnsi e caporedattore de il Mondo, ha fatto autocritica: «Parliamo sui giornali solo di Imu e si è perso il concetto di giornalismo di servizio». Assai più duro è stato Tobias Piller, corrispondente del Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz, ritenuto uno dei giornali più autorevoli d’Europa, e non a caso è di proprietà di una Fondazione), secondo il quale «i media italiani selezionano le notizie europee in modo cattivo». Ci sarebbe una informazione faziosa, dovuta anche al fatto che «nessun giornalista italiano discute leggendosi i trattati, gli impegni, la tecnica economica sottostante».

Il dubbio, al termine del convegno, è che occuparsi di temi “alti”, ossia degli equilibri economico-politici – falsi, mascherati, opportunistici finché si vuole – tra i Paesi membri non sia la strada migliore per creare la cultura dell’Europa e della sua governance. È, appunto, come discutere delle strategie della nazionale di calcio. Discussioni in cui si fatica sempre a comprendere le vere ragioni del commissario tecnico.

Forse, servirebbe assai di più parlare delle battaglie come quella di www.mediainitiative.eu (a promuoverla in sala c’era Tana de Zulueta), ossia la raccolta di firme in sette Paesi europei per arrivare a presentare a Bruxelles una legge di iniziativa popolare indirizzata a regolare e garantire il pluralismo dei media. Servono un milioni di adesioni: è un esempio unico di potenziale wikigovernance europea, che ha raccolto pochi spiccioli di righe sui quotidiani nazionali.

Forse, visto che si era a Firenze, si poteva prendere l’esempio di Responsible Med, il progetto europeo guidato dalla Regione Toscana per avvicinare le Pmi alla Csr. Un tema cruciale per la sopravvivenza e la competitività delle economie territoriali strutturate sulla piccola e media impresa. E che ha raggiunto risultati che andavano condivisi.

Viceversa, anche di questo, i giornali quasi non si sono accorti.

 

A cura di ETicaNews