19 febbraio 2014 – Adesso, davvero, non ci sono più scuse. Governo Renzi permettendo. Il 23 gennaio scorso il Consiglio di Stato ha dato parere favorevole al nuovo Schema del decreto 703, che fissa le modalità attraverso cui i fondi pensione fanno gli investimenti. Il documento porta la data del 4 febbraio. E accende le speranze di chi, grazie al potenziale coinvolgimento dei fondi, attende finalmente la partenza di un vero mercato degli investimenti Sri (Socially responsible investing) in Italia.

E così potrebbe essere vicina al compimento una riforma necessaria che si trascina però da troppo tempo. E che arriva a diciotto anni di distanza dalla prima stesura di regole ormai fuori dal tempo: il 703 del 1996 non consentiva, solo per fare un esempio, di investire in Paesi emergenti, valute, materie prime. Il mondo è cambiato e asset class considerate prima troppo rischiose ora sono perfettamente affrontabili da uno strumento, come un fondo pensione, che deve garantire rendimenti costanti nel lungo periodo. Non solo asset class nuove, ma un approccio totalmente rivoluzionato.

«Il nuovo decreto prevede innanzi tutto un cambiamento generale di mentalità – dice a EticaNews Davide Dal Maso, segretario generale del Forum per la Finanza Sostenibile – mentre il vecchio testo poneva semplicemente vincoli quantitativi alle varie asset class in cui un fondo pensione poteva investire, si passa a un metodo più qualitativo, con una valutazione complessiva del rischio del portafoglio. Quindi investimenti flessibili ottenuti componendo a piacimento il portafoglio, con un attento monitoraggio del rischio che dovrà essere non molto elevato, in quanto parliamo di uno strumento previdenziale. Direi che la rivoluzione stia anche nel fatto che ai fondi pensione si richiede finalmente un’assunzione di responsabilità, abbandonando la visione paternalistica del controllo statale sulle modalità di investimento». Nel testo non esiste nessuna previsione specifica per incrementare la parte relativa agli investimenti sostenibili. Ma senz’altro essendo «la finanza sostenibile uno stile e non un asset class – continua Dal Maso – è possibile che il nuovo decreto rappresenti un incentivo».

In realtà nel testo, come rileva lo stesso Consiglio di Stato, si richiede ai fondi pensione che coprono rischi biometrici, che garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni, anche «l’adozione di strategie di investimento coerenti con il profilo di rischio delle passività detenute, in modo tale da assicurare la continua disponibilità di attività idonee e sufficienti a coprire le passività, avendo come obiettivo l’equilibrio finanziario nonché la sicurezza, la redditività e la liquidità degli investimenti. Perché questi criteri non vengono estesi a tutti i tipi di Fondi pensione?». Se questa estensione sarà recepita nel testo finale, davvero per i Fondi pensione non ci saranno più scuse per non adottare la finanza Sri.

Perché, finora, l’assenza di una normativa “liberalizzatrice” ha costituito un comodo scudo dietro cui legittimare mancanza di intraprendenza e scarsa lungimiranza. Fattori che hanno tenuto i protagonisti italiani delle pensioni integrative lontani da un investimento che con la previdenza condivide almeno tre valori: orizzonte temporale lungo, profilo di rischio prudente, ma anche un impianto valoriale.

Altrove, in tutto il Nord Europa i fondi pensione utilizzano in maniera sistematica i criteri Esg: Francia, Belgio, Svizzera e Germania sono i Paesi più sensibili alle tematiche ambientali, sociali e di governance. Ci sono casi emblematici, come quelli del fondo pensione governativo norvegese, che gestisce circa 350 miliardi di euro, per cui i criteri Esg sono imprescindibili. In molti di questi Paesi, i fondi pensione fanno da traino alla Finanza Sri ed esiste anche una specifica previsione di legge che impone loro investimenti etici. Nell’Italia fanalino di coda c’è solo una riga, che però può essere determinante, nel Decreto legislativo 252/2005 da cui discende il 703. All’articolo 6, comma 13, alla lettera “c” è stato introdotto un emendamento che alla fine recita: «Le forme pensionistiche complementari sono tenute ad esporre nel rendiconto annuale e, sinteticamente, nelle comunicazioni periodiche agli iscritti, se e in quale misura nella gestione delle risorse e nelle linee seguite nell’esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valori in portafoglio si siano presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali».

Allora, non resta che attendere il prossimo passo, ovvero l’emanazione del Decreto da parte dei Ministri di Economia e Welfare. Il rischio, grosso, è che la recente crisi di governo non sposti ancora più in là le scadenze. «In effetti il parere positivo del Consiglio di Stato – dice Walter Bottoni, ‎amministratore del fondo pensione presso Banca Monte dei Paschi di Siena, uno dei più evoluti in assoluto sulla finanza Sri – era un atto dovuto: non darlo sarebbe equivalso a ignorare i cambiamenti avvenuti nel mercato e nell’industria del risparmio: i prodotti disponibili oggi non possono essere valutati solo attraverso il benchmark, ma è necessario introdurre il concetto della qualità, ovviamente gestendo il rischio». Concetti che già ogni Fondo pensione ha dovuto elaborare e sintetizzare nella strategia di investimento, in un documento che Covip ha imposto di approvare entro la fine del 2012. Nel documento si sancisce anche la creazione di una Funzione finanza chiamata, tra l’altro a «verificare periodicamente, con il supporto del consulente per gli investimenti etici (se presente), il rispetto da parte dei soggetti incaricati della gestione delle indicazioni date in ordine ai principi e ai criteri di investimento sostenibile e responsabile, laddove previsti nell’ambito dei criteri di attuazione della politica di investimento».

Laura Magna

A cura di ETicaNews