12 novembre 2012 – La Csr sui giornali non esiste. O, più tecnicamente, non esiste per quello che rappresenta. È il concetto condiviso del workshop curato da ETicaNews nell’ambito della due giorni di convegno Lundquist a Torino giovedì e venerdì della scorsa settima. Una due giorni di “frontiera”, in cui si è sviscerato il tema del giorno, il bilancio integrato, sono stati annunciati e assegnati gli awards, e quindi affrontate le diverse criticità della comunicazione della responsabilità sociale d’impresa. Tra queste, indubbiamente, la “lontananza” tra gli sforzi delle aziende e quanto continua a essere recepito dai media.

Senza scendere troppo nei dettagli, in rispetto della abituale riservatezza garantita a chi prende parte a questo genere di incontri, è però assai interessante evidenziare quanto emerso dall’incontro “Can Csr make news? Journalism, responsible business & the ethics of communication”. Di fronte c’erano, da un lato, giornalisti di una certa esperienza nel campo della finanza e della cronaca; dall’altro, i rappresentanti Csr di alcune tra le società più sensibili al tema della responsabilità sociale. Tra il pubblico, diverse decine di manager della social responsibility, molte delle quali quotate, alcune senza dubbio spesso nel mirino per ragioni di sostenibilità. Punto di partenza, il risultato dell’analisi di ETicaNews, pubblicata lunedì 5 novembre, che evidenziava come il termine Csr di fatto sia assente dalle cronache quotidiane.

Il primo concetto che ha raccolto una certa condivisione da parte dei professionisti coinvolti nella tavola rotonda e, soprattutto, da parte dei partecipanti, è la paradossale inversione di gap tra realtà e comunicazione rispetto a qualche anno fa. Se fino a 5-6 anni addietro le aziende hanno comunicato Csr senza farla (in una sorta di greenwashing generalizzato mischiato a pubblicità), oggi, al contrario, si trovano a farla senza grande capacità di comunicarla (a parte, appunto, articoli di serie “b”, trattati comunque come greenwashing e/o pubblicità). Insomma, si è concretizzato un disastroso effetto boomerang per cui la stampa, educata a considerare la responsabilità sociale un qualcosa di molto prossimo all’articolo “di favore”, oggi di fatto non ha interesse nel considerarla qualcosa che contiene assai più arrosto che fumo.

Su questo si è aperto dunque il discorso della colpa, e non senza qualche costruttivo “battibecco”. Tra aziende e giornalisti, accusati di un eccessivo vincolo alla esclusività della notizia, o di una attempata prigionia al rispetto delle cinque “s” (sesso, sangue, soldi, sport, spettacolo). Tra responsabili Csr e comunicatori interni all’azienda, dipinti come una “controparte frenante” troppo pronta ad arrendersi ai modelli abituali imposti dai giornalisti. Di nuovo, tra giornalisti e aziende, alle quali è stata imputata una scarsità di coerenza e continuità nella proposta comunicativa (che ha creato e crea situazioni grottesche e cotroproducenti), nonché poca consapevolezza che una testata non specializzata deve comunque obbedire a regole non scritte di giornalismo.

Tra rimbalzi di responsabilità e regole non scritte, sono emersi gli ambiti di lavoro (comune) da tenere in considerazione. In generale, l’importanza di un’opera di conoscenza ed educazione reciproca, che porti a evidenziare come la Csr sia un tema di assai maggiore rilevanza rispetto a quanto supposto, anche per il pubblico dei giornali (dai consumatori agli investitori). In termini operativi, si è indicata la necessità, nel rapporto con la stampa, di costruire una strategia e di non limitarsi alla tattica dell’escamotage (ricerca di un punto notiziabile a scapito del percorso più ampio), il che dovrebbe portare a scelte di maggiore coraggio nel proporre notizie positive, qualora rese con il dovuto risalto nel loro essere eccezione, caso, momento di discontinuità. In questa ottica, è emerso come sia assai notiziabile (a differenza di qualche anno fa) l’argomento governance, troppo spesso dimenticato o minimizzato dalle aziende in quanto ambito talvolta scivoloso. Quindi, ancora, coraggio di proposta, anche quando si parla di temi delicati. Anzi, il convegno si è chiuso con l’interrogativo su un nuovo confine: perché non si utilizza l’attività e i valori della Csr nemmeno nei momenti di crisi, ossia quando l’azienda finisce sotto il tiro dei giornali?

 

A cura di ETicaNews