20 maggio 2013 – Sterminate praterie. No, non è “Balla coi Lupi” e nemmeno un film di Sergio Leone: è il terreno abbandonato dalla finanza pubblica nel business sociale, a cominciare dal welfare state, complice l’attuale crisi di liquidità. Un terreno in cui l’impact investing diventa un’occasione di rilancio strutturale. Tanto da chiamare in campo il Fondo Europeo di Investimenti che, con la collaborazione di soggetti privati, ha lanciato il Social Impact Accelerator (Sia), un fondo di fondi con un capitale iniziale di 60 milioni. Si tratta, fa notare il Fei «della prima collaborazione pubblico-privata europea per il social impact investing». All’operazione aderiranno come partner finanziari Crédit Coopératif e Deutsche Bank, oltre alla Banca Europea per gli Investimenti, socio di maggioranza di Fei, per la quale l’iniziativa è definita «un primo passo – si legge nella nota di presentazione – di un’attività pionieristica nello spazio dell’impact investing». «Altri operatori privati – continua la nota – dovrebbero aderire al termine della fase di due diligence».

L’obiettivo del Sia sarà fornire capitale equity, cioè partecipare, a fondi che operano nell’impact investing, realtà che, sostiene il Fondo Europeo, «al di là di obiettivi di ritorno finanziario, cercano di innescare un cambiamento sociale positivo, come risultato della loro attività di investimento consapevole». Ma il percorso di Sia non vuole essere di breve periodo. Perciò, oltre ad accrescere i finanziamenti per le imprese sociali, il fondo mira a costruire le basi per una sostenibilità a lungo termine.

Una macchina destinata a percorrere molti chilometri necessita di controlli costanti, per questo è stata sviluppata, precisa il Fei, «una nuova metodologia per la quantificazione e il reporting sulla catena di investimento». L’attenzione del Fondo è manifestata dalle parole di Richard Pelly, ceo del Fei: «Il nostro approccio è di rendere le imprese sociali, i fondi a impatto sociale e anche Fei, responsabili per i loro risultati».

Un terreno florido di imprese sociali, in cui testare le potenzialità del Sia, potrebbe essere l’Italia, dove ancora non si sono sviluppati investitori istituzionali (a parte Oltre Venture) capaci di alimentare il social business nazionale. Eppure, stando al secondo rapporto nazionale di Iris Network, sono oltre 120mila le realtà nel campo dei servizi alla persona. E si tratta di realtà che in larga misura fanno ancora affidamento, oltre alle declinanti convenzioni pubbliche, sulle risorse messe a disposizione da erogazioni o donazioni private.

I numeri testimoniano le potenzialità del settore. E soggetti come Fei potrebbero riuscire «a dimostrare – conclude Pelly – che si tratta di un comparto interessante anche per gli investitori tradizionali».

Paolo Ballanti

 

A cura di ETicaNews