08 aprile 2014 – Il mondo del crowdfunding europeo si presenta con una sfida alla finanza e con chiare indicazioni social. È l’identikit che emerge dalla “Consultazione sul crowdfunding” promossa dalla Commissione europea la scorsa estate. I risultati dell’indagine, realizzata dal 3 ottobre al 31 dicembre 2013, sono stati pubblicati sul sito dell’Unione il 27 marzo di quest’anno. Gli 893 partecipanti in meno di tre mesi hanno fornito numerosi dettagli sulla situazione del settore nell’Eurozona, contribuendo a tracciare limiti, differenze e punti di contatto tra Paesi membri, imprenditori, autorità di regolamentazione nazionali e il cuore stesso del fenomeno: il crowd, la folla.

L’Unione europea, dunque, in linea con le esigenze di un sistema composito, ha deciso di dare inizio a una “potenziale” opera di armonizzazione normativa su scala comunitaria, partendo dallo studio della situazione negli Stati membri. Il quadro che emerge è quello di una presa di coscienza delle potenzialità insite nello strumento per superare le difficoltà della finanza, ma anche una maggiore attenzione per il sociale, la cultura e l’ecologia.

IL CAMPIONE

Delle quasi 900 risposte, circa la metà (414) è arrivata da cittadini già finanziatori o potenziali, 152 sono giunte da proprietari di progetti che hanno già avviato campagne di raccolta o hanno intenzione di farlo, 81 da piattaforme, 91 da rappresentanti di associazioni, accademici, banche, business angel e venture capitalist. A questi numeri si aggiungono 10 contributi pervenuti da autorità di regolamentazione nazionali.

La consultazione ha suscitato grande interesse in Francia (254 risposte) e Germania (151). L’Italia, Paese che si è dimostrato particolarmente sensibile a questa rivoluzione finanziaria tanto da elaborare la prima normativa sull’equity crowdfunding a livello internazionale, è stato il quarto Stato membro a dare il contributo maggiore con 67 risposte (dopo la Spagna, che ne ha dato 71), ossia il 7,5% del totale.

FUGA DALLA FINANZA

Si è trattato di una consultazione priva di un valore statistico, ma sono emersi spunti interessanti per una classificazione del fenomeno. Uno su tutti, quello relativo alla riduzione della dipendenza da forme di finanziamento tradizionali: il 75% dei titolari di un progetto, infatti, ha sottolineato questa opportunità.

Sembra un dato ovvio, ma il fatto che la maggioranza degli imprenditori stia cercando una via d’uscita al credit crunch e alle forme classiche di finanziamento (come il prestito bancario) è un ottimo segnale per lo sviluppo del settore. A questo si aggiunge il fatto che si tratta anche di un test di mercato fondamentale.

In generale, emerge una percezione positiva delle potenzialità del crowdfunding sul territorio e nel lungo periodo. Il 74% dei partecipanti, infatti, percepisce il fenomeno come un tassello importante per lo sviluppo dell’innovazione e per il sostegno a Pmi e imprenditori (64% degli intervistati).

PROTEGGERE IL LATO SOCIALE

A questo si associano altre ricadute positive sul tessuto sociale. Il crowdfunding, infatti, pone le basi per la democratizzazione dei finanziamenti e degli investimenti, e agisce in maniera positiva anche sull’educazione e sull’alfabetizzazione finanziaria perché contribuisce all’abbattimento di numerose barriere burocratiche. È appunto il risvolto sociale del crowdfunding ad attrarre l’attenzione degli attori del mercato: grazie a questo sistema, infatti, progetti filantropici, sociali, culturali, innovativi ed ecologici hanno accesso a finanziamenti che, in altri casi, non avrebbero avuto. Questa tendenza è sottolineata anche da un altro dato trasversale emerso dalla consultazione, secondo cui la forma di crowdfunding reward e donation based è la più nota al campione che ha risposto al questionario.

Certo, secondo gli intervistati le campagne di stampo sociale meritano una distinzione rispetto a quelle che hanno un ritorno finanziario. Ma i termini di questa differenza non sono chiari. Alcuni lamentano, infatti, come le campagne con finalità sociali siano più soggette a possibili abusi se sottoposte a normative e regole meno stringenti. Di conseguenza diventa fondamentale la definizione di quali siano gli obiettivi sociali della raccolta e quali risorse siano necessarie per raggiungerli.

CROWDFUNDING E CROWDINVESTING

Proprio da questo si evince come il campione che si è sottoposto al questionario operi una distinzione fondamentale, legata alla presenza o meno di un investimento finanziario. Nonostante gli intervistati siano consapevoli delle differenze tra donation e reward based, tendono a inserire queste tipologie in un’unica macro-categoria: quella del crowdfunding che non prevede ritorni finanziari. Per l’altro verso, nonostante siano palesi le differenze anche tra lending ed equity based, entrambe le forme di crowdfunding offrono un profitto. Di conseguenza, dice la rilevazione, emerge una distinzione netta tra crowdfunding e crowdinvesting.

Altro dato interessante è quello riferito ai titolari di progetti. Solo poco più del 25% ha lanciato una campagna di crowdfunding, mentre gli altri meditano di farlo in futuro. Di questo 25% la maggior parte ha utilizzato un modello reward based e, di questi, la metà ha chiuso la campagna con successo (l’altra metà si divide tra chi ha registrato un insuccesso o ha una campagna ancora in corso). Scendendo ancora nel dettaglio, è interessante vedere come la metà di quanti hanno chiuso una campagna con successo, abbia successivamente ottenuto altri finanziamenti con meno difficoltà. Un test di mercato?

IL VALORE AGGIUNTO DELL’EUROPA

Per quanto riguarda la percezione dell’influenza sovranazionale nel crowdfunding, il 65% degli intervistati ritiene che l’Ue debba intervenire per garantire la protezione dei partecipanti alle campagne di crowdfunding security o lending based. La metà degli intervistati, inoltre, ritiene necessaria una condivisione di esperienze e best practice tra Stati per sostenere il monitoraggio dei modelli di crowdfunding che prevedono ritorni finanziari. Questa esigenza è sentita in maniera meno pressante sui modelli reward e donation based (38% del campione). Mentre il coordinamento di un’azione comune per l’autoregolamentazione del crowdfunding nei servizi finanziari è un’esigenza sottolineata dal 44% degli intervistati (nelle altre forme la richiesta si ferma al 30%).

La consultazione, in definitiva, ha messo in luce opportunità e limiti del crowdfunding: da un lato, alternativa positiva alle restrizioni dei classici finanziamenti, dall’altro, strumento che necessita una maggiore regolamentazione oltre che una visione uniforme a livello europeo. Molte campagne, infatti, hanno natura locale, ma altre mostrano un respiro più ampio, che potrebbe essere supportato dall’accesso a un mercato unico. La consultazione è nata, appunto, dalla necessità di assicurarsi che il crowdfunding non sia solo una tendenza momentanea, ma una fonte sostenibile di finanziamento per nuovi progetti europei, e perché ciò accada sono necessarie determinate garanzie, soprattutto per rinforzare la fiducia della “folla”.

Raffaela Ulgheri

A cura di ETicaNews