20 febbraio 2013 – L’Unione Europea scommette sul biogas, ma non senza critiche. La Commissione Europea ha riconosciuto la validità del Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil), la certificazione che assicura una produzione sostenibile dell’olio di palma, all’interno della direttiva Europea riguardante l’energia rinnovabile (Red). La cosa non è, però, piaciuta alle organizzazioni ambientaliste che hanno denunciato le ripercussioni disastrose che questa scelta avrà sulla deforestazione delle zone tropicali, sull’inquinamento globale e, non da ultimo, sul prezzo dei cibi.

L’Rspo è una tavola rotonda creata nel 2004 «per promuovere –specificano nel sito – l’uso di un olio di palma sostenibile per le persone, per il pianeta e per la prosperità». Le oltre mille compagnie che ne fanno parte, tra cui P&G e Nestlé, hanno sottoscritto otto principi guida che assicurano una produzione di olio vegetale sostenibile. Il 23 novembre scorso la Commissione Europea, decisione_2012_722_UE, ha perciò riconosciuto che i prodotti certificati Rspo raggiungono i criteri di sostenibilità definiti dall’Europa per la produzione di biogas. Ovvero l’olio di palma delle piantagioni approvate da Rspo potrà essere bruciato per produrre carburante, in accordo con la direttiva Europea sull’Energia rinnovabile. Proprio quest’ultima prevede che entro il 2020 il 10% della benzina utilizzata per gli autoveicoli derivi da biogas.

L’utilizzo di piantagioni di palma sarebbe, perciò, la scelta ottimale, in quanto dal suo seme si può estrarre un quantitativo di olio anche di quattro volte superiore ad altre coltivazioni, a un costo relativamente basso. Già utilizzato nelle industrie più svariate, dal cibo alla cosmesi, è anche un’alternativa al carburante tradizionale, in quanto meno inquinante. Non a caso nei prossimi anni Rspo ha stimato che la richiesta dell’olio vegetale crescerà dai 50 milioni di tonnellate del 2011, a 77 milioni di tonnellate nel 2050 (vedi l’infografica).

La scelta europea non ha però soddisfatto le Ngo ambientaliste, e le reazioni non si sono fatte attendere. Greenpeace in primis, con l’appoggio di Friends of the Earth, ha definito la decisione dell’Unione Europea retrograda: l’industria dell’olio di palma causerebbe, infatti, grandi emissioni di gas serra dovute alla deforestazione di foreste torbiere nelle zone tropicali (soprattutto in Indonesiana) per far spazio a nuove piantagioni, oltre che a mettere a rischio la biodiversità. «Molti membri del Rspo – sostiene Greenpeace – non han fatto alcun passo avanti per evitare i peggiori comportamenti dell’industria, come la distruzione delle grandi foreste o l’espropriazione di alcuni territori senza il consenso dei proprietari. Ma soprattutto Rspo rischia di creare l’illusione che sia possibile produrre un olio di palma che sia sostenibile, giustificando, così, l’espansione dell’industria dell’olio di palma».

Alla voce di Greenpeace si sono aggiunte le proteste di altre Ngo, tra cui Wetlands che contesta l’operato della Commissione europea. «Grazie alla decisione dell’Unione Europea – sostiene l’Ngo – una compagnia che ha sia piantagioni che rispettano gli standard europei, così come piantagioni che non li rispettano, potrà vendere all’Ue il suo olio di palma proveniente dalle piantagioni idonee come carburante sostenibile, ma continuare con il solito modo di fare nelle altre piantagioni». Le Ngo chiedono perciò un’azione più decisa che bandisca quei produttori che danneggiano il pianeta, mentre ritengono che questo tipo di certificazione risolva solo parzialmente il problema.

Dal canto suo Rspo si è difesa sostenendo che non c’è nulla di sbagliato nella scelta dell’Unione Europea: «Non è un nostro compito definire la porzione di olio di palma utilizzato per il cibo, per il carburante o per altri usi, ma facciamo in modo che se una compagnia utilizza olio di palma, allora sia data priorità all’utilizzo di olio certificato e sostenibile.»

Elisabetta Baronio

 

A cura di ETicaNews