21 maggio 2013 – Si sa, il mondo anglosassone, ed in particolare il Regno Unito, sono in una fase molto più avanzata nello sviluppo del “capitalismo sociale”, o comunque nel tentativo di costruire una finanza che sia al servizio dell’economia e più nello specifico della società. Già nel 2008 veniva avviato da Mark Campanale e Pradeep Jehti un progetto di Social Stock Exchange, oggi molto sviluppato, che è una vera e propria Borsa Sociale, o qualcosa di molto simile. In questi giorni ne è arrivata un’ulteriore prova. Un altro passo avanti è stato compiuto il 29 aprile, quando è stato annunciato il lancio del primo Social Impact Bond Fund da parte di Bridges Ventures e Big Society Capital. Il fondo, 14 milioni di sterline, investirà in “charities” e imprese sociali attive con progetti a valenza sociale nell’ambito dell’educazione, della lotta alla disoccupazione, dell’housing e del sostegno ai giovani in situazioni di disagio.

Nel comunicato di lancio si pone fortemente l’accento sulla logica del payment by result (PbR) che sta alla base del concetto di social impact bond, e dunque principio imprescindibile nella gestione del fondo. Secondo Nick O’Donohoe, Ceo di Big Society Capital, il fondo “fornisce una nuova opportunità di investire in un portafoglio diversificato, e gestito professionalmente, di servizi erogati da organizzazioni del settore sociale”. È un ulteriore passo per il passaggio da una logica di elargizione a fondo perduto ad una di investimento nel sociale. E soprattutto è un ulteriore passo per il ritorno ad una finanza efficiente e soprattutto efficace da un punto di vista economico e sociale.

Il social impact bond è uno strumento finanziario utilizzato inizialmente dal settore pubblico, oggi anche dal terzo settore, allo scopo di raccogliere finanziamenti privati. La remunerazione del capitale è agganciata al raggiungimento di un determinato risultato sociale. In Italia, ad oggi, non esistono sul mercato veri social impact bond. Il nome social bond è stato spesso usato impropriamente invece per indicare strumenti finanziari tradizionali che prevedono che una quota del ricavato dell’emissione sia destinata ad un progetto di charity. Queste iniziative permettono di raggiungere un risultato sociale, ma sono totalmente estranee alla logica dell’investimento sociale di cui si diceva all’inizio. Eticanews ha già approfondito il tema diverse volte.

Negli ultimi anni tuttavia si può identificare un’ interessante convergenza verso una logica di investimento, sia da parte delle imprese che degli organismi non-profit. Le prime chiedono alla finanza di privilegiare il finanziamento dell’economia reale piuttosto che il profitto finanziario immediato. I secondi si sono resi conto che non possono più contare solo su fondi erogati dal settore pubblico o da soggetti privati sotto forma di elargizioni filantropiche. In generale sono evidenti le difficoltà a reperire risorse per le proprie attività da parte dei soggetti del settore pubblico e delle organizzazioni non-profit. Sono in particolare le politiche di austerità che, limitando le possibilità di spesa dello Stato e degli enti locali nel sociale, portano, di conseguenza, anche ad una riduzione delle disponibilità per le organizzazioni del terzo settore. È facile osservare per esempio come in Italia, proprio in questi giorni, siano sempre più competitive le campagne per assicurarsi le risorse del 5 per mille. In questo contesto crescono l’attenzione e l’interesse verso forme di finanziamento alle attività a valenza sociale differenti dai contributi tradizionali.

Filippo Franzoi

 

A cura di ETicaNews