17 giugno 2013 – “Non fare agli altri ciò che non vorresti essere fatto a te”. Questa morale dottrinaria, che ricorda anche la ragion pratica kantiana, può essere la regola che guida una strategia di Csr? Una domanda del genere riporta alla presentazione del bilancio di sostenibilità di Barilla della scorsa settimana. Il gruppo alimentare di Parma ha avviato, negli ultimi anni, un percorso estremamente convinto di corporate responsibility, qualcosa di invidiabile per passione, coinvolgimento interno ed esterno degli stakeholder, e risultati. Al punto che più di un osservatore evidenzia quanto potrebbe essere opportuno che Barilla metta il marchio nella maniera più invasiva possibile sull’Expo 2015 milanese, per dare all’esposizione quei connotati di sostenibilità ancora piuttosto latenti.

Tuttavia, per tornare alla domanda iniziale, nell’esposizione del bilancio di Barilla sono emersi due pilastri concettuali. Il primo, appunto, è che il Dna dell’azienda si rifà al concetto del fondatore: «Date da mangiare agli altri ciò che dareste ai vostri figli». Il secondo è che non solo «Barilla – hanno dichiarato i vertici – non ha un numero per quantificare in bilancio il valore della propria politica di Csr». Bensì, è anche soddisfatta di non avere numeri che quantifichino questo valore economico. La ragione di tale atteggiamento è che, ancora una volta, l’intero percorso deve portare alla “qualità” del prodotto Barilla. Quella qualità, parafrasando, che non deve essere data agli altri se non si darebbe a se stessi e ai propri figli. E che non ha necessità di numeri per essere giudicata.

Ebbene, questi concetti arrivano in mesi in cui la Commissione europea ha proposto una stretta alle direttive che regolano la disclosure per le questioni non finanziarie (environmental, social e governance) dei gruppi di maggiori dimensioni. Mesi in cui sono stati resi noti gli ultimi aggiornamenti del Gri- Global Reporting Initiative, la cosiddetta versione G4. Mesi in cui è tuttora aperta la fase di consultazione lanciata dall’International Integrated Reporting Council (Iirc) per definire lo standard del bilancio integrato. Tre fattori (l’obbligo di rendicontazione obbligata Esg; il G4; l’Ir) che denotano la complessità crescente che il mondo dell’economia e della finanza mondiale sta riconoscendo e imponendo alle tematiche di corporate social responsibility. Si tratta di passaggi ancora quasi “esoterici”, nella loro ricerca della pietra filosofale: trovare la formula per rendere nel bilancio – nel modo più chiaro, coerente e confrontabile possibile – la chimera del “valore” della Csr.

È piuttosto evidente quanto l’approccio “kantiano” di Barilla sia distante dall’approccio “cartesiano” dei vari organismi internazionali citati sopra (Ue; Gri, Iirc).

La principale ragione di tale distanza è che Barilla è un’azienda familiare, per soprammercato ormai giunta alla quarta generazione. Questo comporta, in primo luogo, che non ci sono azionisti diversi dalla famiglia cui dover rispondere. Ma, soprattutto, significa che la Csr di Barilla contiene tutta la passione responsabile che può esserci in una famiglia che ha fatto dell’azienda la propria casa e, soprattutto, la propria dimensione sociale. Quasi, la propria gente.

Non è un caso che a pronunciare le frasi “kantiane” ci fosse direttamente il vicepresidente Paolo Barilla. Il quale ha fatto capire chiaramente il proprio credo: «Questa riteniamo sia la strada giusta, perché un’azienda per vivere per l’eternità deve essere un elemento positivo nella società in cui agisce».

Questa distanza tra visioni kantiane e cartesiane della Csr, in fondo, è la stessa distanza che continua a distinguere il modello imprenditoriale italiano da quello mondiale.

Il modello italiano è ancora piuttosto distante dalle strutture multinazionali, finanziarizzate, managerializzate, spersonalizzate che crescono in altri Paesi.

Questo modello italiano sconta ritardi e prevedibilmente ne accumulerà ancora in termini di applicazione di modelli di Csr e di adozione di evoluti sistemi di reporting. Ma potrà farcela.

Per contro, il modello italiano sembra avere notevoli vantaggi nel consentirsi un approccio kantiano della Csr, ossia come quello di Barilla. Ossia un approccio che parta dal principio morale dell’azienda, dal suo essere fisiologicamente una famiglia allargata nel territorio.

Le strade verso la frontiera di un’economia socially responsible non sono ancora tracciate in modo definitivo. Ragionare in termini di passione sarà anche uno spunto emozionale. Ma, come si vede in Barilla, può essere utile non dimenticarlo.

 

A cura di ETicaNews