19 novembre 2012 – L’azionariato attivo scende in campo in Sudafrica. Una serie di fondi responsabili, The Old Mutual plc, Investec Asset Management, Element Investment Managers and SinCo, si sono mossi chiedendo maggiore chiarezza al settore minerario, in seguito all’ondata di scioperi avvenuti negli scorsi mesi. E, soprattutto, chiedendo anche qualche testa nei ranghi più alti del management, dopo che Lonmin Plc, la terza compagnia al mondo per estrazione di platino, sta subendo gli effetti devastanti di una pessima gestione dei lavoratori. Nel caso di Lonmin, infatti, le proteste sono sfociate in scontri, per effetto dei quali nella miniera di Marikana, in agosto, hanno perso la vita 46 persone. Gli scioperi hanno inoltre causato un crollo nell’estrazione mineraria del gruppo, causando un calo della produzione del 6% rispetto alle stime e un fatturato sceso da 1,99 miliardi a 1,61 miliardi di dollari. Questo ha portato la compagnia quotata a Londra a contabilizzare perdite ante imposte per 698 milioni di dollari nell’anno fiscale chiuso il 30 settembre. Non solo. La situazione della società è al punto divenuta delicata da aver richiesto un pesante aumento di capitale da 817 milioni. Sul cui esito, adesso, c’è molta incertezza: le debolezze di Lonmin hanno scatenato i predatori. La società rischia di essere acquistata da un competitor, o da quello che è oggi suo il maggiore azionista (con il 25%), Xstrata.

Non è una stagione semplice per il Sudafrica dove, negli ultimi mesi, proteste e scioperi hanno scaldato il clima. In primis, la categoria dei minatori che rivendica ormai da tempo condizioni di maggior sicurezza e accordi salariali più adeguati al rischio cui è esposta.

La fase più cruenta dei disordini è iniziata lo scorso 10 agosto, quando i lavoratori della miniera di Marikana (località vicino a Johannesburg) hanno avviato le proteste per rivendicare un aumento salariale dai correnti 500 a 1.500 dollari mensili. La carneficina si è poi verificata il 16 agosto quando la Polizia Sudafricana ha aperto il fuoco sui manifestanti, uccidendone 34 e ferendone altri 78. L’incidente risulta essere il più grave dopo la fine dell’Apartheid. Le proteste, in cui hanno perso la vita altre persone, sono poi continuate anche nei giorni successivi bloccando l’estrazione di platino per sei settimane. Data la situazione, in settembre la compagnia anglo-sudafricana ha trovato un accordo con i manifestanti, grazie al quale i salari dei minatori hanno visto un aumento tra l’11% e il 22 per cento. Altri gruppi, come la Anglo American Platinum, hanno invece optato per la controffensiva portando avanti una politica di licenziamenti di massa.

Element investment Managers, un fondo di investimento responsabile sudafricano, ha espresso la sua posizione. In un intervento al presidente di Lonmin Roger Phillmore, Mohamed Shafee Loonat, portfolio manager di Element, non ha risparmiato le accuse. Da un lato, il fondo riconosce le proprie responsabilità: «Mentre le nostre analisi sui fondamentali del settore e della società rivelavano un margine di sicurezza per i nostri investimenti nel platino, non abbiamo adeguatamente considerato il rischio di una rottura degli accordi con i lavoratori, né che questo avrebbe portato a conseguenze tanto distruttive». Ma, dall’altro lato, per quanto formalmente esposto come suggerimenti e richieste, l’attacco è duro. «Abbiamo scritto al presidente di Lonmin – spiega Loonat – incoraggiando la società a proseguire il lavoro nel settore, attraverso la Chamber of Mines, ma con il coinvolgimento del governo per infrastrutture appropriate, e dei governi locali per i servizi; chiedendo di approfondire l’attenzione su un direttore che riteniamo sia in materiale conflitto di interessi (e sul quale abbiamo votato contro in assemblea nel 2011); indagando se il board sia sufficientemente diversificato in termini di esperienze per garantire utili sostenibili nel breve, medio e lungo termine; domandando se la società ha il giusto livello di executive con qualità ed esperienza; sottolineando il nostro interesse che in futuro la compagnia tenga in considerazione le necessità di lavoratori e comunità; spingendo la società a lavorare con il governo e con l’associazione del settore per promuovere e focalizzare gli sforzi di Csr nell’industria del platino».

Non è però solo la compagnia di Londra ad attraversare una stagione di difficoltà, tutto il settore minerario ne è coinvolto. Non è da escludere, però, che da tutto ciò possano svilupparsi anche risvolti positivi. «Siamo dell’opinione – conclude Loonat – che gli eventi accaduti a Marikana incoraggeranno l’integrazione di tematiche sociali tra la maggioranza degli investitori nelle loro analisi e nelle loro scelte di investimento nello stesso modo in cui l’esplosione della piattaforma Bp nel Golfo del Messico ha incoraggiato l’integrazione nelle scelte di investimento di questioni ambientali e legate alla governance delle aziende».

 

A cura di ETicaNews