16 settembre 2013 – Nei giorni in cui i grandi gruppi nazionali fanno a gara per inviare comunicati stampa in merito alla propria conferma all’interno dell’uno o dell’altro indice etico internazionale, capita di dover ragionare su uno strano concetto di sostenibilità che emerge da un provvedimento dell’Antitrust contro Eni.

LA SOSTENIBILITÀ FIRMATA ENI

La stranezza riguarda innanzi tutto Eni. Il cane a sei zampe, infatti, è stato «sanzionato per avere messo in atto, con la campagna pubblicitaria relativa all’offerta ‘ENI 3’, una pratica commerciale scorretta». Che significa? La comunicazione dell’Antitrust è piuttosto dura: «Per l’Antitrust – si legge – gli spot andati in onda sulle principali emittenti televisive nel periodo novembre-dicembre 2012, che promuovevano l’offerta dedicata alle tariffe gas, luce e carburante, erano ambigui e omissivi, in grado di falsare in misura apprezzabile le scelte dei consumatori in relazione ai servizi pubblicizzati. […] Il consumatore, pertanto, non era messo in grado di assumere una decisione commerciale consapevole sulla convenienza della proposta Eni».

E fin qui la nota ufficiale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. È già evidente quanto la “sostenibilità” di Eni lasci parecchio a desiderare in merito alla trasparenza dei propri messaggi pubblicitari. Andando a leggere l’intero provvedimento – cosa vivamente consigliata – si scoprono ulteriori passaggi interessanti.

Intanto, emerge che Eni ha opposto una difesa alle accuse tentando di dimostrare statisticamente l’irrilevanza del fuorviante messaggio ai clienti. «Il numero dei clienti che hanno chiesto ad Eni di aderire all’offerta pubblicizzata – scrive l’Antitrust in merito a quanto riportato dal gruppo energetico – e che sono stati accettati dal Professionista alla data del 18 febbraio 2013 sono circa [omissis]1». Cioè, non è dato sapere. Ma si sa invece che «da indagini di mercato effettuate dal Professionista risulta che su circa 800 consumatori clienti che hanno aderito all’Offerta, il messaggio è stato integralmente e correttamente decodificato dai 2/3 degli intervistati». Quindi, uno su tre ci è cascato. È poco?

Andando sul sito Eni (gruppo che, segnala sempre l’Authority, nel 2011 ha fatturato 109 miliardi di euro) si legge che «nel 2012 le vendite di energia elettrica (42,58 terawattora) sono state destinate ai clienti del mercato libero (75%), borsa elettrica (14%), siti industriali (8%) e altro (3%). L’aumento del 5,7% rispetto al 2011 è dovuto essenzialmente all’incremento del portafoglio clienti retail per effetto delle efficaci politiche di marketing intraprese pur in un contesto di debole andamento della richiesta elettrica nazionale». Insomma, le efficaci politiche di marketing hanno funzionato.

Sul punto, lo stesso antitrust ha valutato che «la rilevanza statistica dell’indagine di mercato prodotta dal professionista non risulta significativa rispetto al dato percentuale dei consumatori e/o clienti destinatari delle pratiche commerciali scorrette poste in essere dal Professionista in rapporto al numero di clienti contattati per l’indagine statistica. Il campione, poi, non può essere considerato rappresentativo trattandosi di consumatori già iscritti al programma fedeltà Eni per i quali pertanto il meccanismo di funzionamento della promozione è già conosciuto e, comunque, il fatto che un terzo dei consumatori intervistati non abbia capito il meccanismo di funzionamento dell’offerta non è un dato marginale circa la valenza ingannatoria del messaggio».

La difesa statistica di Eni, perciò, non ha migliorato le cose. Semmai, ha generato il dubbio che la “disattenzione” abbia mosso una non piccola parte del mercato. Dunque, il concetto di sostenibilità di Eni appare quanto meno originale anche in tema di riconoscimento dell’inganno. E in termini di rispetto delle regole di buona fede, correttezza e verità.

Lo scrive l’Antitrust: «Considerato che Eni è il principale operatore nella distribuzione del gas, attivo nel mercato libero per i clienti domestici sin dalla data della sua liberalizzazione, autore di varie campagne commerciali e quindi ben consapevole degli stringenti obblighi derivanti dalle promesse contenute nelle offerte commerciali, e quindi, dovrebbe, in base ai principi minimi del canone di buona fede e correttezza, assicurare ai consumatori non solo un’informazione completa, esaustiva e veritiera in merito alle reali caratteristiche ed ai costi dell’offerta pubblicizzata ma anche una corretta presentazione complessiva dell’offerta stessa».

LA SOSTENIBILITÀ FIRMATA ANTITRUST
La stranezza del concetto di sostenibilità che emerge dal provvedimento, però, riguarda anche lo stesso Antitrust, in termini di quantificazione dell’ammenda comminata a Eni. Il provvedimento firmato dal presidente Giovanni Pitruzzella, infatti, spiega che «con riguardo alla gravità della violazione, si tiene conto nella fattispecie in esame dell’importanza del professionista trattandosi del principale operatore nel settore gas, dell’ampia diffusione della pratica essendo stata realizzata tramite una campagna pubblicitaria articolata con diverse forme (spot televisivi, cartellonistica stradale) atta a sfruttare, in un momento di particolare attenzione del consumatori verso il risparmio, la leva della convenienza economica come elemento essenziale della campagna pubblicitaria».

Peraltro, lo stesso Antitrust ricorda che «l’art. 23, comma 12-quinquiesdecies, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, come modificato dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha aumentato il massimo edittale della sanzione a 5.000.000 euro».

Ma questo massimale è rimasto ben lontano. La sanzione decisa dall’Authority, infatti, si è fermata a 250mila euro. Probabilmente meno di quanto è costata la campagna pubblicitaria.

È senza dubbio sostenibile. Ma per Eni.

 

A cura di ETicaNews