22 novembre 2012 – Il problema dei finanziamenti ai partiti non è solo italiano. Negli Stati Uniti, dove pure esiste una consolidata tradizione di trasparenza per quanto alle attività di lobbying, la Securities and Exchange Commission (Sec), la Consob a stelle e strisce, sta considerando seriamente di una petizione presentata il 3 agosto dello scorso anno da un gruppo di professori universitari, la quale chiede di rendere pubbliche e trasparenti le spese societarie destinate alla politica. Queste spese, secondo i firmatari dell’iniziativa, sarebbero notevolmente aumentate dopo una sentenza della Corte suprema americana del 2010 (Citizens United v. Federal Election Commission) che ha rimosso le restrizioni alle donazioni da parte delle corporation. Per contro, sarebbe ancora estremamente scarsa la trasparenza delle società sui numeri e sugli importi, per quanto siano cresciute le richieste di informazione da parte degli investitori responsabili in materia di governance e di costi istituzionali.

La Sec ha deciso di muoversi in seguito al fatto che, in occasione delle recenti elezioni per la presidenza e il congresso americani, sono stati spesi oltre sei miliardi di dollari, una parte eccessiva dei quali di provenienza sconosciuta. Soprattutto, la Sec ha preso atto che la petizione ha già ricevuto oltre 300mila commenti, con una schiacciante maggioranza di pareri favorevoli. Inoltre, a supporto dell’iniziativa si sono già espressi alcuni commissari della Sec, parlamentari sia della Camera sia del Senato, nonché diversi organi di stampa.

Due dei dieci accademici firmatari della petizione, Lucian Bebchuk della Harvard Law School, e Robert J. Jackson della Columbia Law School, di recente hanno pubblicato un paper (scaricabile qui) nel quale analizzano la possibile imposizione da parte della Sec dell’obbligo di disclosure sulle spese politiche. «Presentiamo una evidenza empirica – scrivono nell’abstract dell’articolo – del fatto che un ammontare sostanziale delle corporate spendig in politica sfugga ai radar degli investitori e che che gli azionisti abbiano interessi significativi nel ricevere informazioni su queste elargizioni». «Dimostriamo – concludono – che la disclosure volontaria non è un sostituto delle regole Sec».

 

A cura di ETicaNews