22 maggio 2013 – Da oltre quarant’anni fa da pungolo alle maggiori corporation statunitensi, e mondiali, per indurle a pratiche di business più responsabili. E per chiunque si occupi di azionariato attivo o engagement, più in generale di investimenti socialmente responsabili (Sri), è “il” punto di riferimento. Per non dire un mito. Si tratta dell’Interfaith Center on Corporate Responsibility, Iccr per gli amici, l’organizzazione non profit che raggruppa centinaia di investitori religiosi internazionali, in primis dagli Stati Uniti, che quando si tratta di promuovere responsabilità sociale e sostenibilità nell’investimento non guardano in faccia a nessuno.

Lo dimostrano ogni anno durante la stagione delle assemblee degli azionisti, quando spesso, anche nelle vesti di suore e prelati agguerritissimi, fanno sentire forte e chiara la loro voce per dire, guardando dritto negli occhi i super-manager dai compensi multimilionari: questo non va bene, quello si può migliorare, su quest’altro aspetto occorrono più informazioni. Con il grande merito, per giunta, di riuscire a ottenere in molte occasioni quello che chiedono.

Iccr nasce più di 40 anni fa negli Usa con una missione molto precisa e, per l’epoca, rivoluzionaria: utilizzare l’investimento finanziario per costruire un mondo più giusto e sostenibile. Un intento tradotto subito nei fatti con la prima grande “battaglia” condotta da Iccr, quella contro il Sudafrica dell’apartheid, attraverso la denuncia delle corporation a stelle e strisce che facevano affari con il governo sudafricano senza andare troppo per il sottile riguardo alla segregazione razziale, all’insegna del “business is business”. La prima shareholder resolution in tal senso fu presentata all’assemblea degli azionisti di General Motors, cui si chiedeva esplicitamente di ritirarsi dal Sudafrica. Seguirono richieste simili ad altre big companies. E da lì, sulla spinta sempre e soprattutto degli investitori religiosi, che ancora oggi sono anima e motore dell’organizzazione, Iccr iniziò a muovere i suoi primi passi. La storia dice che quella, insieme alla battaglia che gli investitori attivi condussero contro le aziende coinvolte nella guerra del Vietnam, fu una delle pietre miliari del movimento Sri, che ne definì le caratteristiche originarie e irrinunciabili e lo impose all’attenzione su scala mondiale.

Da allora Iccr, che ha sede a New York, ha conosciuto una crescita costante. Oggi ne fanno parte circa 300 investitori istituzionali faith-based, ma anche organizzazioni sindacali, fondi pensione, università e società di gestione del risparmio, che insieme gestiscono asset per qualcosa come 100 milardi di dollari (oltre 75 miliardi di euro). Oltre che sul sito web ufficiale www.iccr.org (in questo periodo è in corso una survey e accedendo al sito viene richiesto se si intende o meno fornire il proprio feedback), sul quale si può consultare la lista completa dei suoi membri, suddivisi fra “faith-based”, “associate” e “affiliate” (per l’Italia vi figurano Adige, l’associazione dei dipendenti e azionisti Enel, Ecpi e Etica sgr), Iccr si può trovare anche su Twitter (@ICCRonline) come pure sui canali dedicati su Youtube e Vimeo. Interviste all’executive director di Iccr, Laura Berry, si possono vedere anche sul canale Youtube di Etica sgr.

Ma che cosa fa in concreto Iccr? Molte cose, tutte assolutamente in linea con la sua missione. Organizza meeting periodici e in particolare quello annuale sui temi cari agli investitori Sri, li supporta nella loro attività di investitori responsabili, pubblica magazine, report, guide per gli investitori Sri per dar loro dei riferimenti su determinate tematiche. Fra le ultime guide pubblicate, spicca ad esempio quella su come condurre investimenti responsabili nel mercato delle commodity alimentari. Ma anche quelle sul landgrabbing o sul tema caldissimo, e non solo negli Stati Uniti, del fracking.

Soprattutto, però, Iccr è famosa per organizzare iniziative di azionariato attivo in cui larga parte dei suo membri sono coinvolti. E per darne conto in maniera estremamente puntuale e organica proprio sul suo sito.

La sezione Shareholder Resolutions del sito di Iccr è infatti il punto di riferimento per capire quali sono le tendenze, i temi, le lotte su cui via via si orienta l’azionariato attivo a livello statunitense, ma più in generale mondiale, e i risultati che riesce a ottenere. Vi sono infatti elencate tutte le risoluzioni che gli azionisti attivi presentano alle società quotate durante la stagione delle assemblee degli azionisti o Agm (annual general meeting). Basta dare un rapido sguardo per vedere sciorinati nell’elenco i principali temi di cui l’agenda di un buon investitore responsabile, e attivo, non può che essere piena: non discriminazione, utilizzo di risorse naturali, trasparenza sull’attività e le spese di lobbying e sui contributi ai partiti politici, climate change, riduzione delle emissioni di Co2, (super)compensi dei manager, governance, report di sostenibilità, diritti umani, controllo della catena di fornitura e molto altro ancora.

Non solo. Ogni risoluzione è dettagliatamente spiegata, con anche l’indicazione delle organizzazioni che fanno parte di Iccr che l’hanno presentata, spesso in partnership. Man mano che le assemblee si svolgono, poi, viene dato conto della percentuale di voti favorevoli che le mozioni sui temi socialmente responsabili hanno ottenuto. E ogni anno, prima della stagione assembleare, viene pubblicata una guida, la Proxy Resolutions and Voting Guide, che illustra tutto ciò su cui gli investitori attivi organizzati in coalizione chiederanno conto al management delle società quotate.

Forse è proprio questa la lezione principale che il movimento Sri in Italia può imparare da Iccr: che per incidere occorre mettersi insieme. Per influenzare effettivamente le pratiche di business delle grandi aziende quotate, cioè, occorre avere una “potenza di fuoco” di investimento che si può raggiungere solo unendo le forze su richieste specifiche e parlando con una sola voce. Quella di chi intende l’investimento come uno strumento per provare a costruire “a more just and sustainable world”: Iccr dixit.

Andrea Di Turi

 

A cura di ETicaNews