6 maggio 2013 – Tutte le società quotate sull’S&P 500 tranne una, la corporation di servizi bancari e finanziari Zions, riportano una qualche informazione in tema di sostenibilità, ma ancora poche (sette) quantificano tali informazioni anche in termini finanziari.

Per la prima volta un report, l’Integrated Financial and Sustainability Reporting in the United States, analizza in modo globale quanto il bilancio integrato stia prendendo piede gli Stati Uniti, Paese all’avanguardia in tema di Csr. Il rapporto si riferisce al 2012 ed è stato redatto dall’Investor Responsability Research Center Institute (Irrci, un ente di ricerca non profit sulla responsabilità d’impresa) e dal Sustainable Investments Institute (Si2, un istituto non profit che fornisce analisi imparziali su questioni sociali e ambientali).

In base al report, che è documentatissimo e si basa sia su filing della Sec sia su rapporti aziendali volontari sulla sostenibilità, emerge che 499 società quotate hanno pubblicato almeno un’informazione relativa alla sostenibilità, ma che soltanto sette (American Electric Power, Clorox, Dow Chemical, Eaton, Ingersoll Rand, Pfizer e Southwest Airlines), cioè l’1,4% tra le 500 che compongono l’indice, hanno integrato l’informazione sostenibile all’interno della contabilità finanziaria.

Nella finanza Sri, è molto alta l’attenzione sul bilancio integrato, considerato il prossimo passo da compiere per il reporting della sostenibilità e sul quale è attualmente in corso una riflessione a livello mondiale (vedere anche Bilancio integrato, consultazione al via). La strada è tracciata. Negli Usa tre quarti delle società dell’S&P 500 ha quantificato in dollari almeno un’iniziativa sostenibile, anche se altre iniziative sono state menzionate senza riportare il rapporto costi/benefici.

Il 43,4% lega la remunerazione dei top manager a un criterio di sostenibilità. L’ambiente è al primo posto tra le tematiche oggetto di maggiore trasparenza, con il 68% delle società che danno informazioni sulla spesa, e i costi sui controlli dell’impatto ambientale. Al secondo posto (67%) le risorse umane, con le società impegnate a trattenere i talenti, a promuovere programmi per coinvolgere i dipendenti e attente alla soddisfazione dei lavoratori. Il 66% è attento al cambiamento climatico. Ancora poche società (il 21%) sono attento ai temi etici e ancora meno (15%) ai diritti umani.

«La trasparenza è comune, ma informazioni isolate hanno poco valore sia per il management sia per gli investitori – ha commentato sul sito dell’istituto Jon Lukomnik, direttore dell’Irrci -. La sfida di oggi è di unire i puntini tra le iniziativi sostenibili e gli utili societari e poi di quantificarne la relazione. C’è chiaramente un legame, ma la quantificazione e la misurazione mancano ancora».

Per Peter DeSimone, co-autore del report e co-fondatore del Si2, c’è una miriade di regole su come dare per esempio informazioni sull’impatto ambientale, ma si tratta di regole disgiunte che non offrono una visione globale su come i rischi e le opportunità della sostenibilità siano inserite nella programmazione aziendale e su come incidano sui risultati finanziari. «Ma il fatto che le società omettano di stimare l’impatto delle loro politiche e prassi di sostenibilità non significa che non siano capaci di farlo – analizza DeSimone -. La nostra ricerca ha trovato diversi esempi di società che hanno dato prova dei legami tra sostenibilità e performance finanziaria. Senza portare su larga scala le iniziative di sostenibilità e senza coordinarle attraverso una strategia corporate integrata, molte società stanno perdendo opportunità di migliorare i loro risultati finanziari».

Fausta Chiesa

 

A cura di ETicaNews