3 dicembre 2013 – Venti miliardi in meno per il welfare da qui al 2020 in Italia. Il professore Mario Calderini cita un recente studio sulle Smart City elaborato dal Politecnico di Torino insieme alla Cassa Depositi e Prestiti per portare l’attenzione sulla situazione del welfare nei Paesi industrializzati, dove le necessità non sono più compatibili con le forme di finanziamento classiche. E dove occorrerebbe fare qualche passo in più nei confronti dell’impresa sociale («troppo vago l’inserimento nell’equity crowdfunding»). Calderini, del resto, è tra quanti stanno ragionando su come affrontare l’Armageddon dello stato sociale dei prossimi anni. Insieme a Giovanna Melandri, presidente di Uman Foundation e Mario La Torre, dell’Università La Sapienza di Roma, è uno dei rappresentanti italiani nella Task Force del G8 sui Social impact investment, gruppo di lavoro nominato lo scorso giugno durante il Social Impact Investment Forum del G8, e guidato da Sir Ronald Cohen (presidente della banca di investimento sociale Big Society Capital), che ha iniziato i lavori a ottobre. Cinque le nazioni coinvolte nel progetto internazionale: Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti (alcuni Paesi hanno messo anche rappresentanti istituzionali nella Task Force). L’obiettivo del progetto è capire come rispondere al tracollo dello stato sociale e individuare direttive comuni sugli investimenti ad alto impatto sociale entro il 2014. Tra gli strumenti utilizzabili compare anche il crowfunding, visto che, spiega Calderini, «per quanto vaga sull’aspetto sociale, comunque l’apertura c’è stata».

Su cosa sta lavorando la Task force?

Le direttrici principali sono tre. In primo luogo c’è un’attività molto importante che riguarda la metrica, ossia trovare degli accordi a livello internazionale sulla misurazione dell’impatto degli interventi di finalità sociale. Lo scopo è poi costruire un consenso politico tra i grandi Paesi industrializzati e realizzare un’agenda politica sulle azioni che servono (se servono) per regolamentare il tema della finanza sociale. Infine, la governance, cioè quali sono le forme che consentono a chi mette in piedi un fondo di assicurare agli investitori continuità di intervento e modalità chiare di ripartizione sociale del profitto.

Lei ha sottolineato il parallelismo tra sviluppo di nuove iniziative finanziarie e la contemporanea riduzione del welfare state, come avviene questo processo?

Assistiamo a una crescita di interesse da parte dei governi verso gli strumenti di finanza di impatto sociale, questo perché si è osservata una contrazione nella fornitura diretta dei servizi di welfare da parte dello Stato e delle amministrazioni. In questa evoluzione si libererà uno spazio di servizi, più o meno essenziali cui supplirà un mercato di iniziativa privata ovviamente compatibile, nella natura e nelle forme di governo, con obiettivi di natura sociale.

Come interviene in questo il crowdfunding?

Se guardiamo alla regolamentazione approvata in Italia la scorsa estate, le normative relative al Crowdfunding sono nate a servizio di start up innovative. Ci si è riferiti, dunque, a un’imprenditorialità che richiedesse forti requisiti a livello tecnologico ma anche di conoscenza. Si è fatto, però, il tentativo di affiancare a questa prima categoria una seconda: quella delle imprese a finalità sociale. Questo affinché il crowdfunding possa estendersi a iniziative che magari non hanno una base tecnologica e scientifica elevata ma, allo stesso tempo, che sono invece orientate a risolvere bisogni sociali o erogare servizi di welfare. Questo è, da un lato, un eccellente segnale di attenzione da parte del governo ma ci sono dei limiti.

Quali?

Mi riferisco al fatto che nell’articolo l’indicazione di impresa sociale è rimasta un po’ vaga. È stato segnalato interresse ma finché non c’è un’iniziativa che rimandi ai regolamenti attuativi e, in qualche modo, circostanzi anche la natura delle imprese su cui si vogliono orientare questi strumenti, si tratta solo di un appiglio a cui agganciarsi. Questo accenno alle imprese sociali, dunque, non consente di operare nell’immediato ma solo di sviluppare altre iniziative regolamentari in grado di mettere il crowdfunding a servizio del welfare.

Si è pensato di regolare altri strumenti?

Per completezza in quella fase si erano immaginate anche altre forme di finanza sociale che poi non hanno trovato spazio. In particolare sia era lavorato molto sui social impact bond ma si era ritenuto che i tempi non fossero maturi a livello di intervento legislativo.

La contrazione del welfare state, a suo parere, come si sta manifestando nel nostro Paese?

In Italia, come ho detto, ci sarà una riduzione della finanza pubblica per i servizi di welfare di 20 miliardi. Questo dato non è ancora circonstanziato, ma possiamo supporre che sarà penalizzato il campo dell’assistenza e settori limitrofi, che rimandano a una definizione un po’ più estesa di welfare, come l’educazione e la cultura.

Raffaela Ulgheri

 

A cura di ETicaNews