30 settembre 2013 – I controlli interni delle società italiane quotate non funzionano al meglio e questo perché una normativa ridondante provoca una sovrapposizione di compiti e ruoli tra gli organi sociali. Di fatto, per avere un’azione di controllo più efficace ed efficiente andrebbero riviste la regolamentazione e la governance societaria. Perché ci possono essere tutte le regole del mondo, ma se non ci sono gli organi per metterle in pratica il risultato non può essere dei migliori.

L’analisi sul panorama italiano e sulle sue storture viene da una fonte autorevole, anzi la più autorevole: la Consob. L’ultima edizione dei Quaderni giuridici, pubblicata oggi sul sito della Commissione, è dedicata a “I controlli interni nelle società quotate” e sottotitolata “Gli assetti della disciplina italiana e i problemi aperti”. Consob precisa che i contenuti sono attribuibili non alla Commissione, ma soltanto all’autore, che è Giorgio Gasparri, dell’Ufficio Studi Giuridici. Si tratta, dunque, di un documento non ufficiale, ma comunque proveniente da un giurista dell’Autorità preposta a vigilare sulla Borsa.

Che cosa sostiene Gasparri? Si parte dal fatto che recenti episodi di dissesto di grandi imprese quotate (un caso su tutti è quello di Parmalat, ndr) sono stati attribuiti a mancanze o inefficienze dei sistemi di controllo interno. Di conseguenza, successivamente è stata adottata una serie di disposizioni di corporate governance.

Tuttavia, scrive Gasparri, «alla sempre più diffusa esigenza di prevenire le irregolarità contabili e le false informazioni al mercato irrobustendo i controlli interni, ha fatto eco l’opinione di quanti ritengono che la reazione regolatoria rischi talora di sfociare in fenomeni di overshooting, imponendo alla generalità delle imprese vincoli e costi eccessivi. Se regole insufficienti in materia di controlli alterano il corretto funzionamento dei mercati, regole eccessivamente severe rischiano, infatti, di rivelarsi comunque inidonee a impedire qualsivoglia anomalia e, lungi dal contrastare comportamenti opportunistici e fenomeni di carattere elusivo, incidono negativamente sull’efficienza delle imprese e sugli incentivi alla quotazione».

L’inefficienza sarebbe dovuta, dunque, a un eccesso di legge. «Il panorama italiano relativo all’assetto del sistema di controllo interno – si legge ancora nello studio – si caratterizza per una ripetuta stratificazione di disposizioni di rango legislativo, cui si aggiunge un assai rilevante apparato di best practices di matrice autodisciplinare. Ne è derivata una costruzione regolatoria particolarmente composita, animata da numerosi e consistenti presìdi di sorveglianza che rischiano spesso di sovrapporsi».

L’analisi suggerisce quindi che la regolamentazione da sola non basta se la governance societaria non è adeguata a metterla in pratica.

Le figure che all’interno di una società quotata svolgono un ruolo di “vigilanza interna” sono diverse: partendo dall’alto, – spiega il documento – c’è il consiglio sindacale «che rappresenta il vertice del sistema di vigilanza; del consiglio di amministrazione, quale organo di supervisione strategica, che si avvale dell’attività istruttoria svolta dal comitato controllo e rischi e di uno o più amministratori, incaricati dell’istituzione e del mantenimento di un efficace sistema di controllo interno e di gestione dei rischi; nonché dell’organismo di vigilanza e controllo, chiamato a vigilare sulla reale efficacia dei modelli organizzativi in concreto adottati al fine di prevenire i rischi di reato».

Senza voler fare una lezione di governance, l’elenco serve a capire che gli attori coinvolti sono molti anche perché si devono aggiungere i dirigenti contabili e quelli dell’internal audit.

Il rischio – anzi l’effetto che si sta verificando – è una sovrapposizione di ruoli e la concorrenza di competenze. «La ricostruzione – emerge dallo studio – ha messo in evidenza che l’architettura del sistema dei controlli e l’assetto delle competenze delle relative funzioni, quand’anche strutturati dalle società quotate in coerenza col disegno tracciato dalle disposizioni normative e dagli standards di best practice dell’autodisciplina, presentano inevitabili ridondanze e duplicazioni, che potrebbero finire col pregiudicare la funzionalità stessa del sistema, in termini di efficienza ed efficacia».

Qualche esempio di competenze concorrenti? «A riprova della sussistenza di indici di convergenza si pone l’obbligo congiunto di attestazione da parte del dirigente preposto e degli amministratori esecutivi circa l’adeguatezza e l’effettiva applicazione delle procedure amministrative e contabili, sul cui rispetto effettivo è, poi, tenuto a vigilare il plenum consiliare».

Anche le funzioni dell’Organismo di Vigilanza possono avere punti di contatto e di intersezione con gli organi sociali. «Il controllo spettante all’OdV in merito al funzionamento del modello penal-preventivo può sovrapporsi sia al compito del consiglio di amministrazione di valutare l’adeguatezza degli assetti interni, sia al dovere del collegio sindacale di vigilare sull’adeguatezza degli assetti stessi». E ci sono sovrapposizioni anche con l’internal audit nella vigilanza sull’effettività del modello organizzativo per la prevenzione di determinati reati.

Infine, ce n’è anche per l’ambito contabile. «Gli accertamenti svolti dall’OdV sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli diretti alla prevenzione dei reati sono destinati a coincidere parzialmente con quelli sull’effettiva applicazione delle procedure amministrative e contabili condotti dal board unitamente al dirigente contabile. La stessa definizione delle procedure è, d’altronde, materia di competenza concorrente, posto che l’attività dell’OdV, cui spetta la cura dell’aggiornamento dei modelli è sostanzialmente coincidente con quella del consiglio di amministrazione, cui compete l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli stessi».

Non rimane che cambiare la governance. Come? Lo studio cita due possibilità. La prima è la proposta elaborata dal gruppo di lavoro sui controlli societari promosso da Assonime nel 2011, che individua nel collegio sindacale l’organo unico cui attribuire l’intera attività di controllo. La seconda sono le proposte di riforma suggerite da alcuni studiosi della materia, tra cui si cita l’idea che le procedure e le modalità di coordinamento tra organi e funzioni di controllo siano disciplinate da un apposito regolamento adottato dal consiglio di amministrazione.

 

A cura di ETicaNews