14 maggio 2013 – «Il Torino Crowdfunding ha dimostrato ancora una volta come il crowdfunding non sia solo equity e non sia solo per startup: è di tutti ed è per tutti» ad affermarlo è Alessio Barollo, architetto rivolto alla sostenibilità e membro dell’Italian Crowdfunding Network. Il Crowdfunding può essere infatti anche uno strumento di cittadinanza attiva. È questa la declinazione del mezzo di finanziamento collettivo suggerita nel report “Il Crowdfunding Civico: una proposta” scritto da Daniela Castrataro, co-fondadrice e direttore di twintangibles, e dallo stesso Barollo. Il paper, presentato appunto al Torino Crowdfunding, ha riscosso un buon successo con oltre 2.000 visualizzazioni nelle ultime settimane.

Signor Barollo, che cosa differenzia il civic Crowdfunding dai modelli tradizionali?

Gli aspetti fondamentali che caratterizzano il civic crowdfunding sono principalmente quattro: la forza che un’idea porta con sé; la scarsità di finanziamenti dei governi locali; il valore affettivo verso il territorio e la comunità, oltre che il senso di appartenenza che un progetto comune contiene; il rafforzamento dei legami, del senso di appartenenza dei luoghi pubblici del cittadino. Questi punti, a parte il primo, prevedono un diverso approccio al crowdfunding, in quanto tentano di colmare una crescente sfiducia verso l’amministrazione pubblica, andando verso una nuova forma di governo partecipativo legato a una maggiore “trasparenza”. Il modello si inserisce nel mondo della pianificazione urbana, proponendo sia una possibile soluzione all’alfabetizzazione digitale dei cittadini sia migliorando i feedback fra i portatori d’interesse. Un’altra caratteristica del modello civico è che consiste in una sorta di match-funding: l’ente stanzia parte del budget necessario al completamento del progetto pubblico e, per terminare la raccolta fondi, si fa aiutare da investitori privati.

Il Civic Crowdfunding, perciò, ha come obiettivo quello di trasformare il capitale sociale in capitale relazione: come si può realizzare concretamente?

Grazie alla capacità e alla forza di portare off-line le community nate e sviluppatosi on-line. Questo significa trasferire a un pubblico più ampio quei valori di collaborazione e trasparenza che caratterizzano i metodi crowd. Si tratta di costruire tante più o meno piccole reti, ma di significative relazioni, che vanno a formare comunità fortemente legate. Il capitale relazionale porta con sé una serie di ripercussioni a catena, ovvero può favorire la riduzione del Digital Divide grazie ad una maggiore alfabetizzazione digitale da parte della cittadinanza. In tutte queste dinamiche risultano favorite quelle città che hanno adottato un piano di Agenda 21 e di cui l’Italia è lo Stato con il maggior numero di città iscritte a livello europeo.

Qual è il panorama italiano del Civic Crowdfunding oggi?

Il panorama crowdfunding in Italia è in ascesa e con esso anche la curiosità e il dibattito sul civic crowdfundig. Anche se, per ora, non si riscontrano ancora casi evidenti di progetti di riqualificazione pubblica sostenibile applicati. Nonostante ciò, molte associazioni di partecipazione attiva si stanno interessando all’argomento per la realizzazione di attività che fino ad ora non hanno fondi. Il terreno è pronto e la strada è tracciata, ora si tratta di iniziare a percorrerla.

Nel saggio proponete un preciso modello di Civic Crowdfunding: come si sviluppa?

I passaggi fondamentali del metodo sono cinque. Prima di tutto i cittadini o le associazioni sottopongono le proposte di progetti da effettuare nella propria comunità. Gli enti stessi possono proporre progetti. I progetti presentati vengono, poi, controllati dalle amministrazioni per una valutazione di pura fattibilità. Deve necessariamente esistere una struttura scientifico-culturale che verifichi le proposte fatte da cittadini e associazioni, e che dialoghi in modo attivo con le parti coinvolte. Dopo questa prima scrematura, si passa alla fase in cui i metodi on-line si integrano con quelli off-line (almeno fino a quando il livello di alfabetizzazione informatica non avrà raggiunto livelli adeguati). I progetti vengono posti su una piattaforma dove permangono per un periodo di tempo definito per essere votati dai cittadini. Allo stesso tempo, le associazioni e i gruppi radicati nel territorio contribuiscono a informare la popolazione attraverso metodi più classici di partecipazione. I progetti più votati passano poi allo stadio di finanziamento: si entra nella fase di crowdfunding. Infine, quei progetti che raggiungono il target di finanziamento prefisso, vengono avviati dall’amministrazione.

Tra i diversi modelli di finanziamento per il Civic Crowdfunding, non figura l’Equity based. Non sarà perciò interessato dall’introduzione della normativa della Consob?

Il modello Equity si basa su un ritorno monetario da parte dell’investitore. Il nostro progetto va, invece, a proporre un’alternativa alla mancanza di budget della Pubblica Amministrazione per la realizzazione di opere di interesse pubblico. Di conseguenza ritengo le due cose incompatibili. I modelli che vediamo più adatti per l’approccio civico sono quelli reward-based e il crowdlending dove il comune riceve un prestito da parte dei cittadini limitato nel tempo e a basso interesse (si veda ad esemipio LeihDeinerStadtGeld.de). Nel caso in cui questo ultimo modello fosse messo in pratica anche in Italia, logicamente dovrebbe essere normato in quanto sono presenti delle transizioni finanziarie. Nel caso, invece, si optasse per il reward based potrebbe essere già messo in pratica attraverso le piattaforme italiane esistenti.

Elisabetta Baronio

 

A cura di ETicaNews